Ostaggi, detenuti, prigionieri: i mezzi di comunicazione occidentali privilegiano ancora le vite degli israeliani su quelle dei palestinesi

L’informazione mainstream sullo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas evidenzia la persistente tendenziosità filo-israeliana dei media occidentali, per cui gli israeliani vengono umanizzati mentre i palestinesi vengono cancellati dalla vista.

di Mohamad Elmasry

Middle East Eye ,14 ottobre 2025

Lunedì Israele e Hamas hanno scambiato prigionieri come parte del piano di cessate il fuoco del presidente statunitense Donald Trump.

L’informazione dei principali mezzi di comunicazione occidentali ha riproposto gli stessi pregiudizi filo-israeliani che hanno a lungo caratterizzato i reportage su Israele e Palestina che danno la priorità alle vite degli israeliani su quelle dei palestinesi.

Le principali testate come la BBC, il New York Times, il Wall Street Journal, la CNN, l’Associated Press, il Washington Post, la Reuters, la Deutsche Welle e l’Agence France-Presse hanno messo in primo piano gli ostaggi israeliani, sia vivi che morti, mentre hanno in buona misura minimizzato quanto hanno subito i palestinesi.

Su giornali, reti televisive, siti web e reti sociali gli ostaggi israeliani e le loro famiglie hanno ricevuto molta più attenzione – e sono stati resi umani con dettagli personali e immagini emotive – rispetto ai palestinesi.

Per esempio sette su otto tweet dell’AFP sullo scambio si sono concentrati esclusivamente sui prigionieri israeliani. La Reuter ha pubblicato una serie di 36 foto, 26 delle quali ospitavano gli ostaggi israeliani, le loro famiglie o cittadini qualunque che festeggiavano, mentre solo 9 ritraevano palestinesi.

Anche se il sito della BBC ha presentato vari articoli sullo scambio, compresi alcuni sui prigionieri palestinesi e sulle loro famiglie, ha pubblicato anche un profilo dettagliato ed empatico dei 20 ostaggi israeliani rilasciati intitolato “Chi sono gli ostaggi rilasciati?”, senza una empatia simile per i palestinesi.

La CNN ha informato del rilascio di “prigionieri” palestinesi ed ha incluso alcuni dettagli che li rendevano umani, ma il titolo della sua notizia principale, “Le famiglie degli ostaggi riunite mentre Trump è acclamato nel parlamento israeliano”, ha menzionato solo gli israeliani.

Allo stesso modo la lista del Washington Post di sei “sviluppi chiave” inizia con il discorso di Trump, la guerra a Gaza e il summit di Sharm el-Sheikh. Il seguente elenco di punti si concentra sugli ostaggi israeliani, sia vivi che morti, mentre solo l’ultimo punto cita i palestinesi.

Il Post ha proposto un certo livello di umanizzazione dei palestinesi, ma lo sbilanciamento a favore di Israele rimane evidente.

Attenzione diseguale

Da quando due settimane fa Trump ha annunciato il suo piano l’informazione occidentale si è concentrata molto di più sulle richieste ad Hamas per la consegna dei resti dei 28 ostaggi israeliani morti. Molta meno attenzione è stata dedicata agli obblighi di Israele, in base al punto 5 del piano, di restituire i resti di 420 palestinesi che ha trattenuto a lungo.

Questo sbilanciamento è continuato lunedì. Ricerche sugli archivi di notizie mostrano un’ampia attenzione sui corpi degli israeliani e praticamente nessuna citazione dei resti di palestinesi.

Questo eclatante doppio standard riflette radicati problemi nell’informazione occidentale, che ignora e minimizza sistematicamente le violazioni israeliane dei diritti umani.

Secondo l’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem Israele ha una “prassi consolidata” di trattenimento dei corpi dei palestinesi per utilizzarli come “merce di scambio” nei negoziati. Le leggi israeliane contro il terrorismo consentono al governo di tenere i cadaveri dei palestinesi e di impedirne i funerali. Più di 600 corpi di palestinesi sono attualmente trattenuti da Israele, una situazione di cui i mezzi di comunicazione occidentali raramente rendono nota.

Doppio standard linguistico

Praticamente tutti i mezzi di informazione occidentali fanno riferimento ai prigionieri israeliani come a “ostaggi”, un uso giustificabile in base al diritto internazionale, dato che quelli presi da Hamas rispondono alla classica definizione giuridica di presa di ostaggi. Tuttavia la domanda è perché i palestinesi presi prigionieri da Israele non vengono descritti allo stesso modo.

Dopo il 7 ottobre Israele ha arrestato più di 1.700 civili di Gaza, comprese molte donne e minori che non hanno avuto alcun ruolo nell’attacco. Sono stati imprigionati senza alcuna imputazione per circa due anni.

Data l’evidente intenzione israeliana di utilizzare quei detenuti come merce di scambio nei negoziati, in base alle leggi internazionali senza dubbio anche loro corrispondono alla definizione di ostaggi. Ciononostante i media occidentali continuano ad etichettarli solo come “detenuti” o “prigionieri”, riflettendo un persistente doppio standard linguistico che modella le percezioni di innocenza, colpa e sofferenza.

Ricerche accademiche hanno a lungo documentato questo modello in base al quale i mezzi di comunicazione occidentali riservano le descrizioni più crude alle azioni palestinesi mentre attenuano quelle riguardanti Israele. Decenni di studi dimostrano anche che l’informazione occidentale su Israele e Palestina spesso omette un contesto fondamentale, che riguarda soprattutto le violazioni da parte di Israele. L’informazione di lunedì sullo scambio di prigionieri non ha fatto eccezione.

La mia verifica ha scoperto poche citazioni dell’illegale occupazione israeliana della Cisgiordania, del continuo assedio a Gaza o delle accuse di genocidio contro Israele. Dove è stato inserito il contesto spesso si è concentrato sugli attacchi di Hamas il 7 ottobre.

Un’omissione particolarmente rivelatrice nell’informazione occidentale sullo scambio di prigionieri è il fatto che ai palestinesi è stato esplicitamente vietato di festeggiare il ritorno delle persone rilasciate. Mentre gli israeliani sono stati incoraggiati a fare festa per il ritorno degli ostaggi, i palestinesi presenti fuori dal carcere di Ofer, nella Cisgiordania occupata, sono stati accolti dalla polizia israeliana che ha sparato gas lacrimogeni contro le famiglie e i giornalisti. Il Guardian è stato tra i pochi giornali importanti ad aver evidenziato il divieto.

Tali momenti non sono dettagli secondari: il tentativo israeliano di controllare persino le manifestazioni emotive dei palestinesi evidenzia ulteriormente sia l’asimmetria di potere che la crudeltà della sua occupazione militare.

Ripensamento dei media

Il racconto dei mezzi di comunicazione occidentali dello scambio di prigionieri è andato oltre al fatto di privilegiare una parte, ha rafforzato una gerarchia di valore tra gli esseri umani in cui le vite degli israeliani sono intrinsecamente più importanti e degne di compassione di quelle dei palestinesi.

Ciò è in linea con una ricerca più ampia sul modo in cui i media hanno informato sulla guerra. Per esempio uno studio pubblicato lo scorso anno riguardo alle prime due settimane della guerra, quando erano stati uccisi circa 3.000 palestinesi e circa 1.200 israeliani, ha rilevato che i giornali presi a campione hanno pubblicato notizie quattro volte più emotive e personali sulle vittime israeliane che su quelle palestinesi.

Altri studi confermano la cronica fiducia eccessiva dei mezzi di comunicazione occidentali nelle fonti filo-israeliane. Ma su Israele e Palestina i lettori stanno cambiando, così come l’opinione pubblica. Negli ultimi due anni la simpatia per i palestinesi è nettamente aumentata tra le opinioni pubbliche occidentali, soprattutto tra i giovani e, mentre la fiducia nei principali mezzi di comunicazione declina, questi sono sottoposti a critiche sempre crescenti.

Alla luce di questo cambiamento non sorprende che molte persone, soprattutto giovani, si rivolgano invece a piattaforme di notizie indipendenti o alternative per informarsi su Israele e Palestina.

Anche nelle redazioni monta il dissenso. Sono scoppiate proteste dei giornalisti nei principali mezzi di informazione, tra cui il Los Angeles Times, il New York Times e la BBC, dove centinaia di giornalisti hanno manifestato rabbia contro le politiche editoriali palesemente filo-israeliane.

Quando le redazioni riconosceranno la gravità di questa crisi? Per il bene di lettori, giornalisti e palestinesi che soffrono, un ripensamento non arriverà mai troppo presto.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Mohamad Elmasry is Professor of Media Studies at the Doha Institute for Graduate Studies.

Mohamad Elmasry è docente di Studi sui Media presso l’Istituto per gli Studi Superiori di Doha.

 

Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi per Zeitun.info