Alla destra di Israele. La genesi del sionismo revisionista.

di Lorenzo Cremonesi, 10/3/25, Corriere della Sera 
https://www.corriere.it/native/25_marzo_10/cultura-u3500592207109a4b.shtml?fbclid=IwY2xjawJaHOhleHRuA2FlbQIxMAABHZVbrtrK51r-UhjwN-5Pobw6VljqSXtXUy8mxP7-nAkMPfuFRg0dBdSoHQ_aem_Xv5dSKZ_nzUFHB2JNZdXXw

«Non fate parte della comunità di Israele. Non siete partner dell’impresa sionista. Siete un trapianto straniero. Siete un’erbaccia. L’ebraismo ragionevole vi sputa fuori. Vi siete posti al di fuori del muro della legge ebraica». È passato alla storia come il discorso che aizzò i suoi assassini ad agire. Yitzhak Rabin lo pronunciò al Parlamento il 28 febbraio 1994, tre giorni dopo il massacro di Hebron, quando il colono ebreo Baruch Goldstein aprì il fuoco nella moschea-sinagoga della Grotta dei Patriarchi, uccidendo 29 musulmani e ferendone altri 125, prima di essere lui stesso linciato a morte. Il premier laburista venne poi assassinato nel novembre dell’anno dopo da Yigal Amir, un giovane ebreo religioso militante nella stessa destra dei coloni nazionalisti messianici cui apparteneva Goldstein e che Rabin considerava totalmente estranea alla sua identità di sionista socialista nato e cresciuto nella convinzione che l’Israele democratico, disposto al compromesso territoriale per convivere con uno Stato palestinese, fosse la risposta più giusta e morale agli orrori del nazismo, dell’antisemitismo e delle guerre.

Paolo Di Motoli lo ricorda nel suo libro “I mastini della Terra”, edito da Fuoriscena, ed è probabilmente una delle citazioni più intense e appropriate per sottolineare la gravità della lacerante tensione interna che attraversa tutta la storia del movimento sionista e continua tutt’oggi nello Stato ebraico. Rabin bollava i coloni messianici come «estranei», seguaci del rabbino americano Meir Kahane propagatore di ideologie razziste della supremazia del sangue ebraico lontane anni luce dalla tradizione dei kibbutz sorti agli inizi del Novecento. Scrive Di Motoli: questi estremisti, nella testa di Rabin e di tanti altri esponenti del sionismo tradizionale, «erano il prodotto di una malevola influenza straniera su Israele». Uno dei libri più importanti pubblicati in Italia per cercare di comprendere quanto il trauma provocato dal gravissimo pogrom commesso da Hamas il 7 ottobre 2023 contro le comunità civili israeliane attorno alla striscia di Gaza abbia rilanciato questioni esistenziali nel Paese e sia stato strumentalizzato dalla destra messianica per sostenere la necessità della deportazione di massa all’estero dei palestinesi con ogni mezzo, compresi quelli della fame, della distruzione di interi nuclei urbani, della negazione dei servizi medici e persino dei massacri. 
Ma la dinamica delle accuse reciproche di «estraneità» è parte integrante del sionismo. Il primo durissimo scontro interno avviene già agli esordi: quando i socialisti che esaltavano «l’uomo nuovo», l’ebreo-contadino che cancella la tradizione diasporica lavorando la terra, si oppone al piccolo borghese innamorato dei movimenti nazionalisti europei che vorrebbe una «grande Israele» modellata sui confini degli antichi regni biblici. 
Inevitabilmente, figura centrale del racconto è Vladimir Jabotinsky (1880-1940), talmente odiato da Ben Gurion, che lo accusava di essere un «seguace di Hitler», da vietare per lunghi anni che venisse seppellito in Israele. Quanto i socialisti esaltavano il lavoro ebraico e preferivano uno Stato più piccolo ma con una netta maggioranza demografica, tanto il partito revisionista di Jabotinsky insisteva invece sulla necessità di includere tutta Gerusalemme, la Cisgiordania e per lungo tempo anche la Transgiordania oggi patria della monarchia hashemita. Per lunghi anni Jabotinsky corteggia Mussolini, ne ammira la forza, il decisionismo, il militarismo, sebbene in fondo al cuore resti un liberale laico, rispettoso del parlamentarismo e delle libertà democratiche.

Verso gli anni Duemila   Fulcro del progressivo spostamento a destra è la campagna contro gli accordi di Oslo del 1993

Gli storici israeliani negli ultimi mesi citano spesso le scelte di Ben Gurion da presidente, appena dopo la nascita dello Stato nel 1948-49, quando i massimi vertici militari vennero a dirgli che era possibile «completare il lavoro della guerra» per conquistare l’intera Cisgiordania sino al fiume Giordano e lui molto semplicemente rispose «no»(1). Oggi il tema è all’ordine del giorno con la destra di governo che vorrebbe deportare all’estero i palestinesi di Gaza e Cisgiordania, con il sostegno più o meno attivo di Donald Trump. «Abbiamo già troppi profughi palestinesi, non li possiamo tenere nei nostro confini e se li scacciassimo il mondo ci sarebbe ostile», disse allora Ben Gurion per rifiutare quelle stesse terre che poi sarebbero state occupate con la guerra del 1967. Jabotinsky, per contro, già nel 1923 elaborò la teoria del «muro di ferro» (pubblicato nel 1923, NdR), in cui prevedeva che gli arabi si sarebbero sempre opposti alla presenza ebraica e dunque la questione era evidente: o noi, o loro. Di fronte alla contrapposizione tra due diritti sulla stessa terra, l’unica soluzione era la guerra. Se però i singoli arabi si fossero adattati non sarebbero stati espulsi. Scriveva. «Agli arabi come individui: tutto. Agli arabi palestinesi come comunità: niente».  
Jabotinsky muore nella diaspora agli inizi della Seconda guerra mondiale. La parte più estremista del suo partito, l’Herut adesso guidato da Menachem Begin, vede crescere tra i suoi ranghi piccoli gruppi di terroristi che i sionisti socialisti reprimono. I revisionisti rifiutano quindi il progetto di partizione della terra proposto dall’Onu; negli anni Cinquanta contestano le riparazioni tedesche; sono contrari a rendere il Sinai dopo la guerra del 1956. Ma prima del voto del 1977 la destra si fonde con i liberali, crea il partito Likud e per la prima volta vince le elezioni. È il «maapach», lo stravolgimento: sono loro a intensificare la crescita delle colonie ebraiche nei territori occupati dieci anni prima. Con il Likud al potere per la prima volta viene messo in dubbio il principio della «resa della terra in cambio della pace», che pure è sostenuto con forza dalle varie amministrazioni americane e soltanto Trump rifiuta.  
In questo contesto, la storia recente di Israele vede un progressivo spostamento a destra, di cui la campagna contro gli accordi di Oslo con Yasser Arafat nel 1993 rappresenta il fulcro. E nell’ultimo ventennio il Likud è stato sempre più monopolizzato da elementi «kahanisti», religiosi, razzisti e messianici che poco o nulla hanno a che vedere con l’antico liberalismo nazionalista di Jabotinsky e invece tanto con i movimenti radicali americani, affascinato dai culti della forza e dall’idea che gli «estranei» vadano espulsi. Conclude Di Motoli: «Le istanze democratiche e il liberalismo universalista, un tempo apprezzato da ampi settori dell’elettorato conservatore israeliano, sono oggi aggrediti da ondate kahaniste e di glorificazione della violenza nazional-religiosa».

(1) NdR Il <no> di Ben Gurion nel 1948 era motivato dall’accordo col Re della Transgiordania, Abdullah, di combattersi per finta, e alla fine spartirsi la Palestina. Il comandante delle truppe arabe era un ufficiale arabo-inglese di nome Glubb Pasha. Lasciò scritto nelle sue memorie che la guerra del 1948 fu una “Guerra Bufala” (The Phony War). Abdullah controllava le uniche truppe che potevano impensierire gli ebrei, il resto erano eserciti straccioni e armi dell’800. Gli egiziani erano per la metà Fratelli Musulmani con le ciabatte ai piedi; i libanesi non combatterono mai; i siriani erano armati ma erano 4 gatti; e gli iracheni erano sotto gli ordini di Abdullah di Transgiordania, per cui non fecero nulla. Infatti dai Diari di Ben Gurion risulta che in piena guerra del ’48 egli scrisse all’esercito ebraico Hagana dicendo:
“Tenete il meglio delle truppe per ripulire la Palestina, secondo il Piano Dalet (pulizia etnica)”

(2) NdR: Riassumendo  i  momenti cruciali dello scontro tra il sionismo liberale e destra messianica: 

  • nel 1923 con “Il muro di Ferro” di Jabotinsky
  • nel decennio 1967-77(la destra va al governo con Begin) con la crescita della destra conseguita alla “miracolosa” vittoria del ‘67
  • nel 1993-95 col tentativo di Rabin(Oslo) ed il suo assassinio