Le camere di tortura israeliane non sono una novità. Sono ciò che ha provocato la violenza del 7 ottobre

Se non riesci a vedere il nesso causale tra gli abusi israeliani su generazioni di palestinesi e i crimini di Hamas, allora non hai una visione della natura umana. Non capisci te stesso.

di Jonathan Cook

Jonathan Cook Substack, 7 settembre 2024. 

Per molti anni ho vissuto a pochi passi dalla prigione di Megiddo, nel nord di Israele, dove è stato filmato un nuovo video pubblicato dal giornale israeliano Haaretz in cui guardie israeliane torturano in massa i palestinesi. Sono passato davanti alla prigione di Megiddo in centinaia di occasioni. Con il tempo sono arrivato a notare a malapena quegli edifici grigi e tozzi, circondati da torri di guardia e filo spinato.

 

Ci sono diverse grandi prigioni come Megiddo nel nord di Israele. È qui che i Palestinesi finiscono, dopo essere stati sequestrati dalle loro case, spesso nel cuore della notte. Israele, e i media occidentali, dicono che questi Palestinesi sono stati “arrestati”, come se Israele stesse applicando qualche legittima procedura legale su questi soggetti oppressi – o piuttosto oggetti – della sua occupazione. In realtà, questi Palestinesi sono stati rapiti.

Le prigioni sono invariabilmente situate vicino alle strade principali di Israele, presumibilmente perché gli israeliani trovano rassicurante sapere che i palestinesi vengono rinchiusi in numero così elevato. (Come nota a margine, dovrei ricordare che il trasferimento di prigionieri dal territorio occupato al territorio dell’occupante è un crimine di guerra. Ma lasciamo perdere).

Anche prima dei rastrellamenti di massa degli ultimi 11 mesi, l’Autorità Palestinese stimava che 800.000 Palestinesi – ovvero il 40% della popolazione maschile – avessero trascorso del tempo in una prigione israeliana. Molti non erano mai stati accusati di alcun crimine e non avevano mai ricevuto un processo. Non che ricevere un processo faccia molta differenza: il tasso di condanna dei palestinesi nei tribunali militari israeliani è vicino al 100 %. Sembra che non esista un palestinese innocente.

Piuttosto, l’incarcerazione è una sorta di terrificante rito di passaggio che è stato sopportato da generazioni di Palestinesi, richiesto dalla burocrazia che gestisce il sistema di apartheid-occupazione di Israele.

La tortura, anche di minori, è una routine in queste prigioni dall’inizio dell’occupazione, quasi 60 anni fa, come hanno documentato regolarmente i gruppi israeliani per i diritti umani.

L’incarcerazione e la tortura dei palestinesi servono a Israele per diversi obiettivi. Distrugge lo spirito dei palestinesi individualmente e collettivamente. Traumatizza generazione dopo generazione, creando paura e sospetto. E aiuta a reclutare un’ampia classe di informatori e collaboratori palestinesi che lavorano nascostamente con la polizia segreta israeliana, lo Shin Bet, per sventare le operazioni di resistenza palestinese contro le forze di occupazione illegale di Israele.

Questo tipo di resistenza palestinese, dobbiamo notare, è specificamente permesso dal diritto internazionale. In altre parole, ciò che l’Occidente denuncia come “terrorismo” è in realtà legale secondo i principi stabiliti dall’Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Paradossale, per usare un eufemismo.

L’umiliazione e il trauma inflitti sistematicamente a queste centinaia di migliaia di Palestinesi e alla società palestinese in generale – e la totale mancanza di preoccupazione da parte della cosiddetta ‘comunità internazionale’ o, peggio, la sua complicità – hanno inevitabilmente alimentato un crescente estremismo religioso in settori di una società palestinese che un tempo era in gran parte laica.

Se non c’è giustizia, e le istituzioni internazionali create da un Occidente che sbandiera il suo secolarismo e allo stesso tempo i suoi valori cristiani, non offrono riparazione, allora, concludono i palestinesi, forse possiamo trovare giustizia – o almeno una punizione – non attraverso “negoziati” futili e truccati, ma attraverso un maggiore impegno nella resistenza violenta condotta in nome dell’Islam.

Questo spiega la nascita del gruppo Hamas alla fine degli anni ’80 e la sua inarrestabile crescita di popolarità. La militanza islamica senza concessioni di Hamas si contrapponeva al nazionalismo laico più accomodante di Fatah, a lungo guidato da Mahmoud Abbas. Il sostegno ad Hamas era qualcosa che Israele era fin troppo felice di coltivare. Aveva capito che l’islamismo avrebbe screditato la causa palestinese agli occhi degli occidentali e avrebbe legato ulteriormente l’Occidente a Israele.

Ma il sistema di tortura di Israele – sia nelle prigioni ‘normali’ come Megiddo, sia nella gigantesca prigione a cielo aperto che Israele ha creato a Gaza – ha anche portato a una determinazione sempre maggiore tra i gruppi come Hamas a liberarsi con la violenza. Se non si poteva ragionare con Israele, se Israele capiva solo la spada, allora questa era la lingua che i Palestinesi avrebbero parlato a Israele. Questa era esattamente la logica delle atrocità del 7 ottobre.

Se sei rimasto inorridito dal 7 ottobre, ma non sei ancora più inorridito da ciò che Israele sta facendo ai Palestinesi da più di mezzo secolo nelle sue prigioni, allora ti trovi in uno stato di profonda ignoranza – non c’è da sorprendersi, vista la mancanza di copertura mediatica del dominio dispotico di Israele sui Palestinesi – o di profondo negazionismo.

Se non riesci a vedere la connessione causale tra i barbari abusi sui palestinesi, generazione dopo generazione, e i crimini commessi il 7 ottobre, allora non hai alcuna comprensione della natura umana. Non hai la consapevolezza interiore di come ti saresti comportato se tu, tuo padre e tuo nonno fossero stati torturati in una prigione israeliana, un trauma che si trasmette nelle famiglie in modo poco diverso dal colore dei capelli o dalla corporatura.

Le scene girate a Megiddo. Le immagini di uomini emaciati, distrutti dalle percosse subite in prigione. La scomparsa di centinaia di medici nelle camere di tortura di Israele. Il video di un uomo palestinese violentato dalle guardie carcerarie israeliane. Le scoperte delle organizzazioni israeliane e internazionali che dimostrano che ciò avviene sistematicamente. Gli orrori ci guardano in faccia. Ma troppi di noi stanno distogliendo lo sguardo, tornando al pensiero magico della nostra infanzia in cui, quando ci coprivamo gli occhi, il mondo scompariva.

Gli orrori del sistema carcerario di Israele non sono nuovi. Vanno avanti da decenni. L’unica novità è che ora Israele ha intensificato gli abusi. Ora si compiace delle atrocità che prima nascondeva come un segreto oscuro.

Israele si è perduto. Si trova in un buco nero di genocidio. La domanda è: ti lascerai risucchiare anche tu dallo stesso vuoto? Continuerai a coprirti gli occhi? La tortura finirà solo perché tu preferisci non vederla?

 

Traduzione a cura di AssoPacePalestina