Raid su al-Mawasi, 50 palestinesi spazzati via

Cinque missili nella notte, un enorme cratere inghiotte le tende: «22 corpi letteralmente evaporati». Probabile l’uso di armi statunitensi. Per Israele «un errore» l’omicidio a Beita di Aysenur Eygi. Blinken: «Ingiustificabile». E la procura dell’Aja insiste sui mandati d’arresto

di Chiara Cruciati

Il Manifesto, 11 settembre 2024

Le immagini del cratere che ha ingoiato un angolo della tendopoli di al-Mawasi hanno iniziato ad arrivare di notte sulle chat di giornalisti e operatori umanitari: nel buio le luci degli schermi dei cellulari illuminano i palestinesi che scavavano a mani nude e si aggrappano inutilmente alla sabbia per non scivolare giù.

IL BOMBARDAMENTO israeliano – cinque missili, dicono i testimoni – ha cancellato venti tende, dentro dormivano una cinquantina di persone. Quel che resta sono stralci anneriti di stoffa, barre metalliche e un buco enorme. Se intorno non ci fossero migliaia di altre tende (qui, nel pezzetto di costa meridionale di Gaza, vive quasi la metà dell’intera popolazione dell’enclave), verrebbe da dire che lì di rifugi non ce ne siano mai stati.

I corpi recuperati sono solo 19, i dispersi almeno una trentina. In undici mesi sono almeno 41mila i palestinesi uccisi nell’offensiva israeliana, 94mila i feriti e almeno 10mila i dispersi, a cui si aggiunge un numero non precisato di morti per fame e malattie.

Poche ore dopo è giunta la dichiarazione dell’esercito israeliano: nel mirino c’era un centro di Hamas «nascosto nell’area umanitaria di Khan Younis» e alcuni comandanti militari del movimento islamico. «Molte misure sono state prese per ridurre la probabilità di danneggiare dei civili, incluso l’uso di armi di precisione, sorveglianza aerea e altre informazioni di intelligence».

Se Tel Aviv non fornisce, come accade da mesi, prove concrete di tali affermazioni, il punto di fondo resta: nessun attacco contro una tendopoli può concludersi senza una strage di civili. Colpire una zona umanitaria (unilateralmente definita tale dalla stessa Israele) è sempre un crimine di guerra, che dal 7 ottobre a Gaza si è ripetuto innumerevoli volte.

 


La tendopoli di al-Mawasi dopo il raid notturno dell’aviazione israeliana (foto Epa/Haitham Imad)

 

Anche ad al-Mawasi, dove oggi vivono oltre 30mila persone per km quadrato. Sotto accusa c’è anche il tipo di arma: i giornalisti palestinesi riportano di 22 corpi sciolti dall’esplosione. Intere famiglie sono letteralmente evaporate in pochi secondi. Gli ordigni usati, aggiunge la Protezione civile di Gaza, sarebbero «heavy concussion missiles», a forte impatto.

SECONDO L’UNITÀ di investigazione Sanad di al-Jazeera, l’aviazione israeliana avrebbe utilizzato bombe Mk-84 di produzione statunitense. «Quegli ordigni sono pensati per edifici molto più grandi, non per delle tende costruite con i materiali più semplici del mondo», raccontava ieri Tala Herzallah all’emittente qatarina. Studente di 22 anni, la sua tenda è ad appena 200 metri dal punto dell’attacco. Dice di aver visto il cielo colorarsi di rosso.

Qualche ora dopo un altro raid nel quartiere di al-Tuffah a Gaza City ha preso di mira persone in fila per il pane: cinque uccisi. Secondo l’ong Euro-Med, a poche decine di metri si trovano tre centri individuati dall’Onu per la vaccinazione anti-polio, tuttora in corso tra mille difficoltà soprattutto nel nord della Striscia, quasi del tutto isolato dal resto dell’enclave.

In Cisgiordania prosegue l’operazione israeliana «Campi estivi» che ha già provocato immense distruzioni nelle città centrali e settentrionali. A Tulkarem l’esercito israeliano ha ucciso due palestinesi, un uomo e una donna, e ha circondato e invaso la sede della Mezzaluna rossa e arrestato due paramedici. Invaso anche il centro culturale al-Awda: dentro ora ci sono postazioni di cecchini.

A pochi giorni dall’uccisione, venerdì scorso a Beita, dell’attivista turco-statunitense Aysenur Ezgi Eygi, colpita alla testa da un cecchino israeliano, ieri Tel Aviv ha dato conto delle indagini che gli Stati uniti aspettavano per decidere se condannare o meno le azioni dell’alleato. Fuoco «non intenzionale», dice l’inchiesta interna e auto-assolutoria dell’esercito: Eygi è stata uccisa per errore (un errore, verrebbe da dire, piuttosto preciso) perché «lo sparo non era diretto a lei ma all’istigatore principale della sommossa».

Diversa la versione dei testimoni che da giorni circolano su giornali e social media: la giovane dell’International Solidarity Movement, dicono, era in piedi, non stava facendo nulla e intorno a lei non c’erano scontri in corso, era impossibile colpirla involontariamente.

E ALLA FINE è giunta la condanna statunitense, per bocca del segretario di stato Antony Blinken che ieri ha definito «ingiustificabile» l’omicidio di Eygi: «Nessuno dovrebbe essere ucciso perché partecipa a una protesta – ha detto da Londra – Le forze israeliane devono compiere cambiamenti importanti nel modo in cui operano in Cisgiordania, comprese le regole di ingaggio». L’invito giunge dopo l’uccisione, in soli 11 mesi, di quasi 700 palestinesi di cui 141 bambini: uno ogni due giorni, commenta l’ong Dci International.

A muoversi è Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale, in attesa da maggio che la camera preliminare decida sui mandati di arresto per il premier israeliano Netanyahu e il suo ministro della difesa Gallant e per il leader di Hamas Sinwar: con un ricorso di lunedì chiede «con estrema urgenza» l’emissione dei mandati a causa dei crimini che continuano, del «peggioramento della situazione in Palestina» e del pericolo di insabbiamento delle prove.

 

Chiara Cruciati

Segue le pagine internazionali, dalla scrivania di via Bargoni e dalle città del Medio Oriente. Vicedirettrice del manifesto