Bombe israeliane sugli sfollati di Al Mawasi

Bombe israeliane sugli sfollati di Al Mawasi

Mediorientale - Internazionale Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 17.7.24

”A partire da quanti morti si passa dall’indignazione all’indifferenza?”. Se lo chiede Emmanuel Haddad in un articolo pubblicato su L’Orient-Le Jour e tradotto nel numero di Internazionale online da domani e in edicola dal 19 luglio. Haddad scrive all’indomani dell’ennesima strage di palestinesi compiuta da Israele. Il 13 luglio le bombe israeliane hanno colpito il campo profughi di Al Mawasi, nel sud della Striscia di Gaza, che era stato indicato come “zona umanitaria sicura” proprio da Israele. Sono morte novanta persone e circa trecento sono rimaste ferite.

I funzionari israeliani hanno dichiarato che il bersaglio erano due esponenti di punta di Hamas, che si nascondevano tra i civili: Rafa’a Salameh, comandante della brigata Khan Yunis, e Mohammed Deif, capo dell’ala militare del gruppo, entrambi ritenuti responsabili di aver architettato l’attacco compiuto da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre 2023. Hamas ha negato questa ricostruzione e ha smentito la morte di Deif. 

Alcune testimonianze raccolte da Al Jazeera riferiscono che le tende sono state abbattute dalle esplosioni, che hanno colpito anche una struttura per la distillazione dell’acqua. I soccorritori accorsi sul posto hanno dovuto “scavare nel terreno per estrarre le persone”, ha detto all’emittente qatariota il medico Mohammad Subeh in un altro articolo che pubblichiamo nel prossimo numero. I feriti sono stati trasportati all’ospedale Nasser di Khan Yunis, già strapieno di pazienti e ormai privo delle apparecchiature essenziali.
 

 

Dopo il bombardamento nel campo profughi di Al Mawasi, nella Striscia di Gaza, il 13 luglio 2024. (Hatem Khaled, Reuters/Contrasto)

Al Mawasi è una stretta striscia di terra lungo la costa, che si estende per un chilometro in larghezza e per quattordici in lunghezza, dalla città di Khan Yunis fino quasi a Rafah, a ridosso del confine con l’Egitto. Prima della guerra ci abitavano circa seimila persone, soprattutto famiglie beduine, che vivevano di agricoltura e pesca. È stata circondata dagli insediamenti israeliani fino al 2005, quando l’allora primo ministro Ariel Sharon ordinò il ritiro dei coloni da tutto il territorio palestinese. 

All’inizio di dicembre, quando aveva cominciato a emettere ordini di evacuazione in varie parti della Striscia, Israele aveva designato 6,5 chilometri quadrati di questa terra sabbiosa e desolata come una “zona umanitaria sicura” dove potevano trasferirsi le persone costrette a lasciare le loro case per sfuggire ai bombardamenti. Ma chi è arrivato lì non ha trovato nessuna struttura di accoglienza né beni di prima necessità. C’era solo il terreno su cui piantare una tenda. Nei mesi successivi si sono riversate nella zona decine e centinaia di migliaia di persone. Alcune si sono poi spostate in altre zone della Striscia, altre ne sono arrivate e Al Jazeera riferisce che al momento del bombardamento del 13 luglio c’erano ammassati 80mila sfollati. 

Tra loro secondo Israele si nascondeva anche Mohammed Deif, bersaglio dell’attacco, la cui sorte è ancora incerta. Nome di battaglia di Mohammed Diab Ibrahim al Masri, Deif significa “ospite” in arabo, in riferimento alla sua capacità di sfuggire ai precedenti sette tentativi di uccisione di Israele spostandosi quasi ogni notte tra le case dei sostenitori di Hamas. Dopo aver trascorso 16 mesi in un carcere israeliano nel 1989, nel corso degli anni novanta Deif si è dedicato a pianificare attentati suicidi in Israele e in seguito ha contribuito a rafforzare la rete di tunnel e l’arsenale di razzi di Hamas nella Striscia di Gaza