INVADO AVANTI. Il ministro Ben Gvir eroe ieri delle celebrazioni per l’occupazione di Gerusalemme est. Niente di fatto al negoziato per la tregua. Netanyahu esita ma per gli Usa la colpa è di Hamas
Michele Giorgio, GERUSALEMME
Non ci sono foto degli ostaggi a Gaza alla Marcia delle Bandiere, la provocazione annuale che la destra israeliana organizza all’interno delle mura antiche e nel settore orientale di Gerusalemme per affermare il controllo di Israele su tutta la città «riunificata» durante la guerra del 1967. I volti che appaiono sui poster issati da migliaia di attivisti e simpatizzanti dell’ultranazionalismo – molti dei quali adolescenti o coloni giunti dalla Cisgiordania occupata – sono quelli dei circa 300 soldati israeliani morti in combattimento a Gaza. Girando tra le persone che cantano e danzano, molte di loro ostentano mitra e pistole, si comprende subito che il Giorno di Gerusalemme e la Marcia delle Bandiere, quest’anno sono una opportunità per invocare il proseguimento della guerra a Gaza e una offensiva di terra in Libano. Non mancando di urlare forte alla Porta di Damasco simbolo della Gerusalemme palestinese: «Mavet l’aravim», «Morte agli arabi».
foto di Michele Giorgio
Incuranti delle tensioni causate dall’offensiva che ha fatto 36mila morti a Gaza, le autorità israeliane hanno autorizzato il passaggio per la Porta di Damasco della Marcia diretta al Muro del Pianto attraverso il quartiere islamico. Al mattino, in una città vecchia con i negozi chiusi, le provocazioni hanno innescato tafferugli tra estremisti israeliani e i pochi palestinesi che si sono avventurati in giro. Poco hanno potuto le decine di volontari dell’associazione arabo-ebraica Standing Together per evitare intimidazioni e aggressioni a danno dei palestinesi. E ancora meno quelli di Tag Meir che hanno distribuito fiori a cristiani e musulmani della Città Vecchia per affermare che non tutti gli israeliani vogliono la Marcia delle Bandiere.
La polizia ha badato più a proteggere il corteo della destra che ad impedire le aggressioni. Nel pomeriggio si è preoccupata di allontanare, anche con la forza, i pochi palestinesi che provavano ad avvicinarsi alla Porta di Damasco. «Quando viene questo giorno tengo chiuso il negozio e me ne sto a casa. È rischioso uscire, la polizia non protegge noi palestinesi», dice Abu Firas, commerciante a Musrara, di fronte alla Porta di Damasco. I poliziotti sono intervenuti contro i manifestanti quando alcuni di loro hanno lanciato bottiglie di plastica contro un giornalista che indossava un giubbotto con la parola «Press» stampata sopra.
I giornalisti stranieri non sono graditi agli attivisti di destra, ma Nadav, 18 anni, ha voglia di parlare con la stampa. Vive in un insediamento coloniale a qualche chilometro da Nablus. Sotto lo sguardo dei suoi amici ci dice a voce alta che «la guerra è l’unica soluzione per Gaza» e che Israele deve continuare la guerra per «eliminare tutti i suoi nemici, non solo Hamas ma anche Hezbollah in Libano». Quelli intorno a lui annuiscono. «Aspetto la chiamata dell’esercito» aggiunge «non vedo l’ora di dare il mio contributo per rimuovere i pericoli davanti a Israele». Interviene un altro ragazzo Eran per ricordare che «Gerusalemme è la capitale di tutto il popolo ebraico oltre che di Israele» e che questo «disegno di Dio» non potrà essere annullato da nessuno.
foto di Michele Giorgio
Poco distante un uomo sulla sessantina, che dice di chiamarsi Ofir, mostra cartelli con scritte che accusano l’Irlanda, la Norvegia e la Spagna, che di recente hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, e la Corte internazionale di Giustizia che potrebbe procedere contro Israele per genocidio, «di essere i migliori amici di Hamas».
Protagonista politico della giornata è stato Itamar Ben Gvir il ministro della Sicurezza che sarebbe più giusto chiamare il «ministro della guerra» per il suo continuo incitamento contro il cessate il fuoco con Hamas e a proseguire l’attacco a Gaza giunto all’ottavo mese. Da settimane esorta le forze armate ad aprire un altro fronte contro Hezbollah e il Libano. «Non fermarti. Stiamo vincendo», ha detto ieri Ben Gvir rivolgendosi al premier Netanyahu. Il ministro ha anche fatto sapere che il suo partito, Potere ebraico, non voterà con la coalizione di governo di cui fa parte finché Netanyahu non renderà noto integralmente l’accordo sulla possibile tregua con Hamas. «Il premier – ha denunciato – nasconde la bozza dell’accordo con Hamas che prevede una clausola sulla fine della guerra». Ad acuire le preoccupazioni di Ben Gvir e di tutti i sostenitori della guerra ad oltranza, hanno contribuito le parole del Consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, che in una intervista alla Nbc, ha affermato che governo israeliano ha riconfermato più volte che la proposta (di cessate il fuoco temporaneo e di scambio tra ostaggi e prigionieri) resta valida». Il Qatar, uno dei mediatori, invece punta il dito proprio contro Israele che, dice, deve chiarire se il piano rappresenti l’intero governo. Hamas da parte sua ripete di guardare con favore alla proposta – annunciata da Joe Biden – ma non potrà accettare alcun accordo a meno che Israele non prenda un impegno chiaro per una tregua permanente e il ritiro completo da Gaza.
Alla Marcia delle Bandiere non ci sono altri piani se non quello di mantenere il controllo di tutta la terra. «Israele deve annettersi subito Giudea e Samaria (la Cisgiordania,ndr)» ci dice Nataniel, 53 anni, anch’egli un colono, «e augurarsi che a fine anno venga rieletto Donald Trump alla Casa Bianca. Joe Biden è pericoloso per Israele».
Marcia delle bandiere, la destra vuole più guerra | il manifesto