Diritti, non "spade di ferro" - lettera aperta alla Comunità Ebraica di Firenze

Lettera aperta
Al Presidente della Comunità Ebraica di Firenze
Enrico Fink

 

Firenze, 10 novembre 2023

Caro Presidente,

come soci dell'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus le scriviamo per esprimere la nostra vicinanza nel dolore che accumuna tutte le persone toccate dai tragici eventi bellici in corso in Israele e Palestina, fra cui molte persone nella vostra comunità e nella comunità palestinese toscana. Vorremmo esprimere il nostro apprezzamento per la vostra recente iniziativa, che ha messo al centro i diritti violati dei bambini, vittime innocenti di una indicibile violenza  causata da scelte politiche dei loro ascendenti di cui non possono certo essere ritenuti responsabili.


Quei passeggini vuoti, con i colori dell'agenzia delle Nazione Unite per l'infanzia Unicef, rappresentano nel modo migliore quei valori universali che, al di là delle divergenze politiche fra ciascuno di noi, ci uniscono nel riconoscere il diritto fondamentale di ogni bambino ad esistere ed a vivere in pace e sicurezza, “senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale”, come recita la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia.

Sono i valori fondanti della nostra convivenza civile, scritti nella nostra Costituzione e che accomunano anche le tre grandi religioni che da secoli convivono in quelle terre martoriate.
È quanto mai fondamentale che rimangano la nostra bussola morale in questi momenti di sofferenza e di rabbia.

 

Ad oggi si contano già oltre 4500 bambini uccisi in un mese di guerra, numeri che fanno rabbrividire e non trovano paragoni in nessun conflitto dell'ultimo decennio.  Numeri che purtroppo sono destinati a crescere perché la guerra non si ferma e perché molti corpi giacciono ancora sotto le macerie. Ci sono poi i bambini feriti, oltre diecimila, mentre i bambini di Gaza che sopravvivono ai bombardamenti sono, come riporta l' organizzazione “Save the Children”, esposti a grave rischio di fame, epidemie e disidratazione a causa della mancanza di acqua potabile.  A questo si aggiungono i 30 bambini che sono stati presi in ostaggio da Hamas e i 150 che sono tenuti prigionieri nelle carceri israeliane, spesso in “detenzione amministrativa”, ovvero senza neanche un'accusa formale. L'associazione “Euro-Mediterranean Human Rights Monitor” riporta inoltre che oltre il 90% dei bambini di Gaza già soffriva di disturbi da stress post-traumatico a seguito delle cinque precedenti campagne di bombardamento sulla Striscia. 

Non possiamo rimanere indifferenti a tanto orrore, che non può trovare alcuna giustificazione.
Ci auguriamo che in nome dei citati valori universali, possiamo unire le nostre voci nel denunciare questi crimini contro l'umanità, chiedere con forza una cessazione incondizionata della violenza e cercare la via della pace attraverso il riconoscimento dei diritti umani per tutti gli abitanti di Israele e Palestina, riconoscendosi a vicenda nella nostra comune umanità.


per l’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus
la Presidente
Barbara Gagliardi


La risposta del presidente della comunità, 13 novembre 2023

 

Gentile Barbara Gagliardi

Presidente, Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus

sono personalmente lieto di ricevere una lettera così gentile da parte sua. Le confesso che non me lo aspettavo, dato il tono spesso non proprio improntato al dialogo delle pagine web della vostra associazione. Mi auguro sentitamente che si tratti dell'inizio di una nuova forma di comunicazione, cosa di cui tutti ci rallegriamo in questi giorni bui.

Cominciamo dall'evitare però giochi e falsi fraintendimenti: i giorni, appunto, sono troppo bui per scherzarci sopra. Lei parla, riferendosi all'iniziativa svoltasi domenica scorsa alla sinagoga di Firenze, di “passeggini vuoti con i colori dell'Unicef”. Sta giocando, ovviamente, perché lo sa benissimo che i passeggini non erano vuoti, ma contenevano le foto dei bambini ostaggi di Hamas, e che i colori bianchi e azzurri dei nostri palloncini stavano lì a rappresentare Israele. Non avrebbero del resto potuto in coscienza rappresentare l'Unicef, organismo che si è distinto per aver oscenamente ignorato il massacro del 7 ottobre. Il doppio standard di organismi internazionali per i diritti umani che scelgono di ignorare sistematicamente le violazioni che vengano commesse contro cittadini israeliani è una delle ragioni per cui anche noi, che cerchiamo di stare il più possibile fuori da polemiche e tensioni, nell'ospitare in questi giorni famiglie di sfollati israeliani ci siamo sentiti obbligati a dire qualcosa anche in nome di quei bambini rapiti da Hamas e a oggi di sorte incerta, di cui nessuno parla più, neanche la Croce Rossa Internazionale (altro esempio del doppio standard di cui sopra). Naturalmente, noi che abbiamo a cuore la sorte di tutti indistintamente (bambini o meno) non abbiamo mancato di citare le vittime civili di Gaza, anche domenica, come potrà vedere dalle interviste rilasciate per l'occasione.

A parte dunque schermaglie dialettiche, vado al nocciolo della sua lettera: la richiesta di

“unire le nostre voci nel denunciare questi crimini contro l'umanità, chiedere con forza una cessazione incondizionata della violenza e cercare la via della pace attraverso il riconoscimento dei diritti umani per tutti gli abitanti di Israele e Palestina, riconoscendosi a vicenda nella nostra comune umanità.”

Le sue parole sono belle e forti, e mi sento di sostenerle con tutto il cuore.

La via del riconoscimento dell'altro, dei suoi diritti e delle sue sofferenze, è quanto la nostra Comunità indica da sempre come unica strada per trovare una via di uscita dall'insostenibile situazione che da troppi anni vivono gli abitanti di Gaza, della Cisgiordania, di Israele.

Chiediamo insieme dunque la cessazione della violenza: cessi il fuoco che arriva su Gaza; cessi il fuoco che da Gaza continua a piovere su obiettivi civili in Israele, e che solo per l'intervento delle forze di difesa israeliane non miete centinaia di morti ogni giorno; vengano immediatamente rilasciati tutti gli ostaggi; vengano completamente smilitarizzate e rese inoffensive quelle organizzazioni, in primis Hamas, che hanno compiuto il barbaro massacro del 7 ottobre e che continuano a dichiarare di volerne ripetere altri alla prima occasione. Sono sicuro infatti che un'associazione dedicata all'amicizia fra italiani e palestinesi non può che essere con noi nel volere liberare Gaza dal giogo di una formazione di fanatici religiosi dediti al terrorismo internazionale, che tengono la popolazione civile in stato di sostanziale schiavitù da più di quindici anni, e che da più di quindici anni deviano la grande maggioranza dei fondi, destinati dalla comunità internazionale ai palestinesi, sulla creazione di infrastrutture militari nascoste barbaramente fra ospedali, scuole, abitazioni della povera gente. Sarà una vittoria per chi da decenni si adopera concretamente per la pace, qui e in medio oriente. Una vittoria contro i guerrafondai, una vittoria per gli attivisti per la collaborazione fra palestinesi e israeliani – come moltissimi dei massacrati del 7 ottobre che come lei saprà senz'altro lavoravano quotidianamente fianco a fianco di associazioni pacifiste israelopalestinesi.

Una vittoria a esempio per Vivian Silver, 74enne attivista di B'tselem, fondatrice di “Women Wage Peace”, fondatrice e direttrice del Centro Arabo-Ebraico per l'Eguaglianza, leader dell'Alleanza per la Pace in Medio Oriente, volontaria per e con associazioni palestinesi a Gaza. Vivian forse non lo saprà, perché anche lei è scomparsa il 7 ottobre e a oggi non sappiamo se sia stata trucidata o presa in ostaggio – le ultime notizie che abbiamo sono le sue parole terrorizzate mentre telefonava alla sorella nascosta in un armadio, e i terroristi irrompevano in casa. Ma sarà comunque una vittoria anche in suo nome.

Non ho citato Vivian Silver per ottenere compassione, sia chiaro. So bene che le storie individuali di tutte le le vittime sono atroci: le vittime dall'una e l'altra parte, i bambini straziati il 7 ottobre come quelli che muoiono fra le macerie di Gaza. Ho citato Vivan per ricordare a lei, a me, a tutti, che lavorare per la pace è possibile, anche se nella nostra vita non porta risultati immediati. Dice una massima di un famoso testo ebraico, le “Massime dei Padri”: non sta a te completare l'opera, ma nemmeno sei libero di sottrartene.

Cara Barbara, mi auguro davvero che la sua lettera non sia un artificio dialettico ma un sincero tentativo di cambiare linea di comunicazione e azione. Desista, la prego, dal sostenere come fanno quotidianamente i vostri canali social, chi propugna la guerra e la violenza come metodo di risoluzione della sofferenza palestinese. Come – ma è un esempio piccolo in un mare di odio che purtroppo leggo sulle vostre pagine, veicolo troppo spesso di glorificazione della lotta armata, di fake news fatte circolare ad arte da agenzie di fatto collaboratrici di Hetzbollah o Hamas – la manifestazione dello scorso 28 ottobre a Roma che avete contribuito a organizzare, che nella sua piattaforma ufficiale pubblicata santificava ed esaltava il pogrom del 7 ottobre, e dichiarava esplicitamente che non ci sarà mai pace possibile con “l'entità sionista”, come descriveva Israele alla maniera dell'Iran. Si unisca a noi e a quanti come la Comunità Ebraica di Firenze da sempre, magari con idee che non condivide completamente ma con rispetto infinito per gli altri, e con il cuore aperto al riconoscimento che lei ha proposto, si adopera per la diffusione della cultura del dialogo, della fratellanza, della pace.

Un saluto

Enrico Fink
Presidente, Comunità Ebraica di Firenze

 


La nostra replica, 14 novembre 2023

 

Caro Presidente,

la ringraziamo per la sua risposta e riteniamo molto importante un dialogo con la comunità che lei rappresenta, augurandosi che possa preludere ad un rapporto più costruttivo.

Questo dialogo può e deve essere basato sui valori fondamentali che tutti dovremmo condividere, quelli scritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che è alla base del diritto internazionale, e nella nostra Costituzione. Valori che implicano il rifiuto di qualsivoglia discriminazione su base etnica o religiosa.

Il nazionalismo, quella ideologia che fonda l’idea di nazione sull’appartenenza etnico/religiosa e che ha prodotto così tanti orrori negli ultimi due secoli, il peggiore dei quali è senza dubbio l’Olocausto, non potrà mai essere un terreno comune. Per questo motivo non abbiamo voluto credere che i colori sventolati davanti al tempio fossero quelli di una nazione, ma che rappresentassero un messaggio più universale, nel solco della millenaria cultura ebraica che consideriamo uno straordinario patrimonio di tutta la nostra società.

 

A questo proposito non comprendiamo le sue parole di condanna per le istituzioni internazionali, il cui lavoro si fonda proprio su quei principi universali. Sia l’Unicef che la CRI, il cui mandato è umanitario e non politico, hanno chiaramente espresso la loro vicinanza alle vittime della violenza da ogni parte. E le Nazioni Unite non si sono limitate alle parole. L’agenzia che da 75 anni si fa carico dell'assistenza umanitaria per i profughi palestinesi e si occupa in particolare di istruzione, l’UNRWA, ha pagato il suo impegno a Gaza con un prezzo altissimo. Al 13 novembre, si contano 101 vittime fra i suoi operatori. È il massacro più grave in tutta la storia dell'ONU. Quelle persone erano insegnanti, educatori, operatori sociosanitari. Uccisi dalla violenza cieca e indiscriminata dei bombardamenti israeliani, che hanno inseguito la popolazione civile di Gaza anche in quelle strutture sotto l’egida internazionale dove cercava riparo. 

 

Ci dispiace anche che lei percepisca in modo così negativo la nostra voce in difesa di una popolazione oppressa, quella palestinese, a cui da 75 anni sono negati i diritti più fondamentali, quello all’esistenza e quello all’autodeterminazione. I nostri canali di comunicazione offrono materiale che riteniamo utile a conoscere la questione palestinese. Riflettono opinioni diverse, spesso anche di autori israeliani, che non necessariamente condividiamo, ma che mostrano il punto di vista degli oppressi, che non trova spazio sui media mainstream del nostro paese, allineati quasi totalmente con le posizioni dello stato israeliano.

 

Una popolazione che vive sotto occupazione militare ha il sacrosanto diritto alla resistenza, anche armata. Non è solo una nostra opinione, è il diritto internazionale. Ma noi non facciamo e non abbiamo mai fatto il tifo per la violenza. Pensiamo che il nostro ruolo sia quello di cercare la via della pace, attraverso la giustizia, i diritti e la solidarietà. Come potrà vedere dal nostro sito web, le nostre iniziative umanitarie sono concentrate sul sostegno socio-sanitario e sull’adozione a distanza di bambini in età scolare, in particolare nei campi profughi, dove le persone vivono sfollate dalla nascita.

Viceversa, visitando il sito web della vostra comunità, ci rattrista profondamente, e francamente ci sciocca, leggere di raccolte fondi, fra le altre cose, in favore dell'esercito israeliano, con tanto di banner pubblicitario per quella che chiamate “operazione spade di ferro”. 

È quella mostruosa operazione militare che sta uccidendo la stragrande maggioranza dei bambini vittime di questa guerra. E che le sue parole purtroppo sembrano giustificare, quando dichiara, almeno secondo la stampa e ci piacerebbe ricevere una smentita, che “Vorremmo che le armi tacessero, ma per chiedere pace bisogna contestualmente chiedere la liberazione immediata degli ostaggi e fare in modo che vengano smantellate le organizzazioni terroristiche”. 

Come non c’è giustificazione per le atrocità contro i civili da parte di Hamas nell’attacco del 7 ottobre, non ci può essere alcuna giustificazione per la mattanza dei civili a Gaza. E non possiamo neanche credere, conoscendo la sua intelligenza, che lei sia veramente convinto che la pace, la liberazione degli ostaggi e la fine del terrorismo possano essere ottenuti sganciando dagli aerei migliaia di bombe da due tonnellate su quartieri fittamente abitati, che sono spesso dei campi profughi per gli sfollati del 1948. Questa è la sesta “operazione” di questo tipo su Gaza, negli ultimi 16 anni di blocco imposto alla Striscia. Un blocco a cui nel 2018 la società civile di Gaza tentò di opporsi in modo pacifico con la “Grande Marcia del Ritorno”.  La risposta fu il tiro al bersaglio dei cecchini dell’IDF su persone disarmate, che provocò, nell’indifferenza generale, almeno 223  morti e  migliaia di amputati. È evidente che queste politiche, oltre ad essere criminali e disumane, abbiano solo rafforzato l’estremismo e i gruppi ispirati dal fondamentalismo islamico come Hamas, cosa che d’altronde era prevedibile e preventivata.  

Le garantiamo che nessuno di noi soci, italiani e palestinesi, si identifica con questa ideologia fondamentalista. Vorremmo anche noi vedere la “completa smilitarizzazione” che lei propone, ma deve essere da entrambe le parti, perché non ci sono esseri umani di serie A che hanno il diritto ad essere armati fino ai denti ed altri che devono vivere disarmati. A meno che lei non pensi, come il ministro della difesa israeliano Gallant, che gli abitanti di Gaza non siano normali esseri umani ma degli “animali umani” che possono  vivere solo rinchiusi in gabbia e guardati a vista. O forse pensa ad una smilitarizzazione come quella che le organizzazioni palestinesi accettarono in Libano nel 1982, quando i civili nei campi profughi di Sabra e Shatila furono messi sotto la protezione internazionale con un solenne accordo. Immaginiamo che lei conosca il seguito della storia. 

 

Quando parliamo di riconoscersi nella nostra umanità, pensiamo al diritto di tutti i bambini che nascono nella popolazione palestinese di essere cittadini di uno stato di diritto, israeliano o palestinese che sia. Diritto che è già riconosciuto alla popolazione israeliana, compresa quella che vive nelle colonie all’interno del territorio occupato.  Invece, come sicuramente sa anche lei,  dal 1967 Israele nega ai 5 milioni di palestinesi che vivono sotto il suo controllo a Gaza e in Cisgiordania sia il diritto alla nazionalità israeliana, sulla base di una discriminazione su base etnica, che quello alla creazione di uno stato palestinese indipendente e sovrano su quei territori.

Noi pensiamo che la strada per la pace passi dal riconoscimento di questi diritti, non dalle “spade di ferro”. Vorremmo piuttosto vedere, secondo l’adagio pacifista di ispirazione biblica, “trasformare le spade in aratri” (Isaia 2,4). E sono in tanti i compagni di viaggio nel mondo ebraico che la pensano come noi, come la rete italiana ECO, il grande Moni Ovadia, la notevole organizzazione statunitense Jewish Voices for Peace, l'organizzazione israeliana B’tselem che non ha paura di denunciare il proprio paese come uno stato di apartheid che persegue un progetto suprematista, in linea con le conclusioni delle principali organizzazioni in difesa dei diritti umani del mondo occidentale, come Amnesty International o Human Rights Watch. Sappiamo bene, come lei ci ricorda, che la violenza di Hamas si è abbattuta ciecamente anche su comunità e persone che facevano parte di questo mondo. I sopravvissuti e i parenti di  questi attivisti che hanno perso la vita continuano, con un coraggio che non possiamo che ammirare profondamente, a denunciare l'ingiustizia di fondo alla base della violenza e a chiedere di non commettere altre atrocità in nome dei loro cari.

Se la vostra comunità decide invece di schierarsi, come traspare dalle sue dichiarazioni, con le attuali politiche dello stato di Israele, non sarete certo soli. Una parte maggioritaria del mondo politico nel nostro paese difende Israele a spada tratta qualunque cosa faccia, per primi quelli, come l’attuale presidente del Senato, che hanno raccolto l’eredità politica dei tifosi della nazione ariana. 

Sta a voi scegliere con chi volete condividere il vostro cammino e le vostre lotte. Noi ogni giorno aspettiamo i messaggi dei nostri amici a Gaza, che hanno raramente la possibilità di farci sapere se sono ancora vivi e che cercano di raccontare un orrore che le parole non possono descrivere. 

È una sfida difficile, ma cerchiamo prima di tutto di restare umani. 



a nome dei soci dell’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus
la Presidente
Barbara Gagliardi