C’è un motivo per cui le fonti politiche e militari offrono visioni diverse sulla vittoria dell’operazione dell’IDF. Il risultato potrebbe lasciare tutti insoddisfatti.
Haaretz, 3 luglio 2023.
Qual è l’obiettivo dell’operazione israeliana a Jenin, iniziata poco dopo la mezzanotte di lunedì 3 luglio? La risposta dipende da chi parla con i giornalisti.
Secondo fonti politiche di alto livello, che si sono affrettate a rilasciare dichiarazioni anonime, l’obiettivo è quello di “porre fine al ruolo di Jenin come rifugio sicuro per il terrore” e di “preparare il terreno per il ritorno dell’Autorità Palestinese a Jenin”. Per raggiungere questo obiettivo, l’operazione “durerà tutto il tempo necessario”.
Una serie di obiettivi leggermente diversi emerge dai briefing degli ufficiali delle Forze di Difesa Israeliane. Secondo loro, si tratta di una “operazione limitata contro le infrastrutture del terrorismo”, la cui durata è attualmente prevista “tra le 24 e le 48 ore”. I militari hanno anche tenuto a sottolineare che, pur essendo più grande in termini di scala e di potenza di fuoco rispetto ai raid precedenti, questa rimane una di una serie, limitata all’area del vecchio campo profughi di Jenin, che si estende per meno di un chilometro quadrato.
Le sfumature tra il livello politico e quello militare non sono casuali. In sostanza, questa operazione è un compromesso tra la preferenza dell’IDF di continuare con l’attuale strategia di raid su scala relativamente piccola a Jenin, che di solito si concludono nel giro di poche ore, e la richiesta degli elementi di estrema destra del governo di Benjamin Netanyahu di condurre quella che il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha descritto come “un’operazione militare, per abbattere edifici, sterminare i terroristi – non uno o due, ma decine e centinaia, se necessario migliaia”.
Un’operazione più ampia a Jenin è un’opzione presa in considerazione da più di un anno, da quando l’Autorità Palestinese ha perso il controllo della città e il suo campo profughi è diventato un centro di bande armate palestinesi, che compiono attacchi a fuoco sia in Cisgiordania che in Israele. Ma l’IDF non ha raccomandato un’operazione di questa portata e nemmeno gli ultimi tre primi ministri di questo periodo – Naftali Bennett, Yair Lapid e ora Netanyahu – hanno fatto pressioni in tal senso. Il rischio di una potenziale escalation e di gravi perdite ha pesato contro questa opzione.
Tutto è cambiato due settimane fa, quando un’altra delle incursioni di routine per fare arresti è andata male. La “Brigata Jenin” ha sorpreso l’IDF utilizzando ordigni esplosivi più grandi e sofisticati di quelli visti in passato, che sono riusciti a immobilizzare veicoli blindati. Sette palestinesi sono stati uccisi durante le lunghe operazioni di ritirata delle forze israeliane, e gli ufficiali dell’IDF hanno ammesso che il bilancio delle vittime avrebbe potuto essere molto più alto, da entrambe le parti. Tornare a Jenin, questa volta con forze molto più numerose, per arrestare i fabbricanti di bombe e distruggere i loro laboratori è diventata una priorità operativa.
Due giorni dopo è avvenuta la sparatoria nei pressi di Eli, in cui sono stati uccisi quattro coloni israeliani. Sebbene la sparatoria sembri essere stata una vendetta per quanto avvenuto a Jenin, gli autori (che sono stati uccisi) non provenivano da Jenin e sembra che abbiano lavorato in modo indipendente. Questo non importava ai coloni e ai loro rappresentanti nel gabinetto di Netanyahu. Anche loro volevano sangue e vedere grandi forze israeliane operare alla luce del giorno nelle città palestinesi.
L’operazione che ne è scaturita, con l’intera brigata Oz per le operazioni speciali, insieme ad elementi di altre unità e alla costante copertura aerea da parte dei droni, è stata probabilmente più grande di quanto l’IDF avrebbe previsto se non avesse dovuto fornire anche uno spettacolo pirotecnico per i politici. Certamente non è quello che Ben-Gvir e i suoi accoliti hanno chiesto, ma almeno permette a Netanyahu di sembrare che stia agendo con decisione e permette ai suoi partner di affermare di aver cambiato il precedente modo di agire.
I coloni hanno trascorso la maggior parte delle ultime due settimane a rimproverare ai generali di non fare abbastanza contro il terrorismo. Resta da vedere se saranno soddisfatti, se l’operazione andrà secondo i piani e se l’IDF si ritirerà in fretta, senza aver causato la distruzione di cui hanno fantasticato.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina