Haaretz, editoriale del 23 giugno 2023
Decine, se non centinaia, di giovani ebrei piombano su un villaggio palestinese. Le auto vengono incendiate, le finestre vengono distrutte, le fiamme si levano dalle case. Tutto questo è accaduto mercoledì sera nel villaggio cisgiordano di Turmus Ayya, a nord di Ramallah.
Questo attacco era prevedibile, così come era prevedibile che la polizia e l'esercito rimanessero in disparte per quella che viene erroneamente definita "impotenza". Quando un fallimento continua a ripetersi per decenni, è chiaro che il problema non è la mancanza di controllo, ma un modello di comportamento e una decisione dall'alto - cioè dalla leadership del Paese - di permettere agli israeliani di attaccare i palestinesi. Non c'è bisogno di ordini espliciti; è sufficiente conoscere lo spirito del comandante. Anche l'opinione pubblica, evidentemente appagata dallo shock per il pogrom di Hawara di febbraio, ha perso interesse.
Su scala minore, i coloni hanno attaccato i palestinesi anche mercoledì nei villaggi di Luban al-Gharbiyeh, Burqa, Kufr al-Dik, Birin, Kisan, Husan, Yasuf, Urif e Susya e sulla strada tra Nahalin e Jaba. Secondo i dati delle Nazioni Unite, tra l'inizio dell'anno e il 18 giugno, gli israeliani hanno perpetrato 441 attacchi contro i palestinesi, 10 dei quali a Turmus Ayya. Del totale, 112 si sono conclusi non solo con danni alla proprietà, ma anche con lesioni fisiche. Nel 2022, ci sono stati 849 attacchi da parte dei coloni, e l'anno prima 496. Nella maggior parte di questi casi, le forze dell'ordine non hanno cercato le persone coinvolte e non hanno processato alcun sospetto.
Il più delle volte, gli assalitori non hanno neanche bisogno della scusa dell'attacco terroristico. Picchiano anziani e giovani con bastoni, pugnalano a morte capre e pecore, abbattono o bruciano alberi, sradicano piante, rubano i raccolti, attaccano i pastori, si impadroniscono di sorgenti, sparano in aria o bloccano le strade per impedire ai contadini palestinesi di accedere alle loro terre, lanciano pietre contro case e automobili e montano tende e recinti per animali su terreni appartenenti a villaggi palestinesi. Per loro, gli attacchi terroristici come quello di martedì, in cui sono stati uccisi quattro israeliani, sono un'opportunità per ampliare la portata dei loro assalti di routine. La loro rabbia non è spontanea, ma calcolata. Così come lo sono i loro assalti, il cui obiettivo è quello di appropriarsi della terra palestinese e di bandire da essa altri palestinesi.
Non possiamo aspettarci nulla dal governo, e quindi nemmeno dall'esercito, dal servizio di sicurezza Shin Bet o dalla polizia. Ma gli oppositori della riforma giudiziaria pianificata dal governo devono stabilire un collegamento tra la riforma e la violenza autolesionista in Cisgiordania. E poi devono trovare modi pratici per dimostrare che non tutti gli israeliani sostengono gli aggressori seriali ebrei.
L'articolo sopra riportato è l'editoriale principale di Haaretz, pubblicato sulla versione in ebraico e in inglese del quotidiano.
Traduzione a cura dell'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze