di Marco Contini , La Repubblica 21.11.22
Archiviate le elezioni che hanno portato le destre al potere in entrambi i Paesi, il nuovo ambasciatore a Roma ostenta ottimismo sull'evoluzione dei rapporti bilaterali. E in un'intervista a tutto campo affronta anche eventi di questi mesi: dalla storica intesa col Libano sul gas al futuro degli Accordi di Abramo, dalla cooperazione militare con altri Stati arabi all'aumento della tensione in Cisgiordania.
E' la scenografia dello studio nel quale l'ambasciatore israeliano a Roma Alon Bar, fresco di nomina e ancor più del gradimento del Quirinale, ha concesso questa intervista a Repubblica. Sessantacinque anni, nato e cresciuto a Sasa, un kibbutz dell'Alta Galilea proprio al confine con il Libano, Bar è un diplomatico di lungo corso che in passato è stato membro della delegazione israeliana all'assemblea generale dell'Aiea (l'agenzia dell'Onu per l'energia atomica), vicedirettore generale del ministero degli Esteri per gli affari scientifici e culturali, direttore politico dello stesso ministero e ambasciatore a Madrid. Ma, soprattutto, negli ultimi mesi è stato uno dei membri della delegazione israeliana che ha raggiunto lo storico accordo sui confini marittimi e l'estrazione del gas off-shore tra Israele e Libano.
Ambasciatore Bar, lei si trova a rappresentare lo Stato d'Israele in Italia nel momento i cui entrambi hanno il governo più di destra della propria storia. E i due i partiti di maggioranza relativa, Fratelli d'Italia e il Likud, fanno parte della stessa "famiglia politica" europea, il gruppo dei Conservatori. Pensa che questo possa facilitare le relazioni tra i due Paesi? O, viceversa, che la storia molto particolare di FdI possa rappresentare un ostacolo?
"Solo una premessa: in Italia il nuovo governo di destra c'è già. In Israele il percorso non si è ancora compiuto. Ma certo, è probabile che succeda. Detto questo, tutti i partiti della coalizione di governo in Italia hanno sempre manifestato il loro sostegno a Israele e questo induce a essere ottimisti. Meloni e Netanyahu si sono già sentiti dopo le elezioni, e la sintonia tra i partiti dei nostri Paesi può essere la premessa di una relazione molto forte. Poi ci sono in gioco gli interessi nazionali, e questo è un terreno su cui dovremo aspettare, capire, e lavorare per trasformare quella sintonia in cooperazione. Ma posso dire di ritenermi fortunato, e credo onestamente di poter contribuire a creare una relazione proficua tra i due Paesi. Questo non esclude che ci possano essere divergenze, ma l'atmosfera è positiva e mi aspetto che i rapporti tra Italia e Israele facciano un salto in avanti".
Ambasciatore Bar, lei si trova a rappresentare lo Stato d'Israele in Italia nel momento i cui entrambi hanno il governo più di destra della propria storia. E i due i partiti di maggioranza relativa, Fratelli d'Italia e il Likud, fanno parte della stessa "famiglia politica" europea, il gruppo dei Conservatori. Pensa che questo possa facilitare le relazioni tra i due Paesi? O, viceversa, che la storia molto particolare di FdI possa rappresentare un ostacolo?
"Solo una premessa: in Italia il nuovo governo di destra c'è già. In Israele il percorso non si è ancora compiuto. Ma certo, è probabile che succeda. Detto questo, tutti i partiti della coalizione di governo in Italia hanno sempre manifestato il loro sostegno a Israele e questo induce a essere ottimisti. Meloni e Netanyahu si sono già sentiti dopo le elezioni, e la sintonia tra i partiti dei nostri Paesi può essere la premessa di una relazione molto forte. Poi ci sono in gioco gli interessi nazionali, e questo è un terreno su cui dovremo aspettare, capire, e lavorare per trasformare quella sintonia in cooperazione. Ma posso dire di ritenermi fortunato, e credo onestamente di poter contribuire a creare una relazione proficua tra i due Paesi. Questo non esclude che ci possano essere divergenze, ma l'atmosfera è positiva e mi aspetto che i rapporti tra Italia e Israele facciano un salto in avanti".
Non ha paura che al di là delle posizioni dei leader, nella destra italiana - nella sua base elettorale - ci sia ancora un diffuso antisemitismo?
"Non la definirei paura. So bene che ci sono ancora antisemiti, sebbene siano una minoranza, e che ci sono simpatizzanti del regime fascista. Ma su questo abbiamo già detto al governo italiano - lo hanno fatto sia Lapid che Netanyahu - che intendiamo lavorare a stretto contatto con la comunità ebraica, e che su questo terreno ci aspettiamo dal nuovo governo una politica di tolleranza zero".
Lei dice di aspettarsi un ulteriore miglioramento delle relazioni tra Italia e Israele. Nei giorni scorsi forse se n'è visto il primo esempio quando l'Italia, interrompendo un'antica tradizione di astensioni, alle Nazioni Unite ha votato No alla richiesta di chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia di indagare su "occupazione, insediamenti e annessioni israeliane in Cisgiordania".
"Ovviamente siamo molto contenti del No italiano. Da tempo chiediamo ai governi italiani di non schierarsi con i Paesi europei che sono più critici nei nostri confronti. Nel mondo multilaterale - il Consiglio per i diritti umani, le risoluzioni dell'Onu - il mio Paese è sottoposto a una campagna costante di demonizzazione che crediamo sia non solo ingiusta, ma anche controproducente. Perché alla fine il linguaggio aggressivo e la riproduzione quasi in automatico di documenti contro di noi finisce per togliere credibilità a tutte le istituzioni dell'Onu, e mina qualsiasi possibilità di riconciliazione tra noi e i palestinesi. Nel caso specifico, l'Italia ci ha spiegato che dietro alla decisione di votare contro c'è il fatto che il documento proposto faceva riferimento, in arabo, al Kharam el Sharif (la Spianata delle Moschee) ma non al Monte del Tempio: né col termine inglese (Temple Mount) né tantomeno con quello ebraico (Har ha Bayit). E' un modo, e non è certo la prima volta che succede, per negare il legame storico tra l'Ebraismo e Gerusalemme. Dirò di più: il riferimento esclusivo ai luoghi santi dell'Islam è un modo, quasi un messaggio in codice, per negare anche il legame dei luoghi santi di Gerusalemme con il Cristianesimo".
Prima lei ha accennato agli interessi comuni tra Italia e Israele. Il primo capitolo che viene in mente, per forza, è il gas. Israele attraverso il giacimento di Karish si candida a diventare un grande esportatore di metano in Europa. Quali sono le prospettive? E a che punto è la discussione sulla costruzione del gasdotto East-Med, che dovrebbe collegare Karish con l'Europa meridionale? Ci sono ostacoli politici?
"Il gasdotto East-Med è una delle opzioni in campo, non l'unica. Mi risulta che siano ancora in corso le verifiche sulla fattibilità, sui costi, sulle tecnologie, sui tempi di realizzazione. E poi ci sono le questioni politiche, come il conflitto tra gli interessi della Turchia, della Grecia e di Cipro. Ma con o senza East-Med, bisogna ragionare sull'efficienza del trasporto, sull'uso di piattaforme mobili, su come aumentare i volumi, eccetera. Però bisogna essere chiari: Israele non potrà mai sostituire interamente le forniture dalla Russia, può diventare uno dei tasselli di un piano per diversificare le fonti. L'Italia è parte integrante di questo processo, fa parte dell'Emgf (East Mediterranean Gas Forum), è tra i firmatari dell'accordo iniziale per il gasdotto East-Med, ed è bene che continui a svolgere un ruolo da protagonista. Quando in Israele nascerà il nuovo governo, e avremo un ministro per l'Energia, mi auguro che riprendano i contatti già avviati con Draghi e che ci sia un incontro bilaterale tra i nostri due governi proprio su questi temi. Vorrei sottolineare però che non c'è solo il gas: ci sono interessi comuni su cui Israele può essere un partner importante per l'Italia in merito alla conservazione dell'acqua, alle energie alternative a partire da quella solare, all'agricoltura e alla cybersecurity. Terreni che per l'Italia rappresentano alcune tra le grandi sfide del futuro".
Oltre a Karish c'è il giacimento di Kana, su cui Israele e Libano hanno firmato un accordo storico, il primo che non sia un cessate-il-fuoco. E lei faceva parte della delegazione israeliana che ha negoziato quel patto.
"Non è solo il primo accordo tra Israele e Libano, è anche la prima volta in assoluto che il Libano firma un accordo sulle frontiere con uno qualsiasi tra i suoi vicini. Al momento non ne hanno neanche uno sui confini terrestri con la Siria e, per quel che riguarda quelli marittimi, con Cipro. Sì, è vero, è un accordo storico. Ma non vorrei esagerare il mio ruolo in questa vicenda: io ero uno dei membri della delegazione israeliana, nient'altro".
Ma eravate cinque in tutto. Se anche lei fosse stato il meno importante tra loro, non sarebbe certo un contributo irrilevante...
"Io c'ero e ne sono orgoglioso. Punto. Sottolineerei invece il ruolo di mediazione degli americani e di Amos Hochstein in particolare. E' stato un negoziato lungo, difficile, e oltretutto pieno di punti interrogativi perché dovevamo immaginare una struttura finanziaria sui diritti di estrazione e sulle compensazioni economiche senza sapere esattamente l'ampiezza, la capienza, il potenziale estrattivo di quel giacimento. Ancora oggi ci sono degli spazi bianchi, che saranno riempiti quando saranno più chiari i dettagli. Ma la struttura dell'intesa è solida. Ci sono stati incontri a Naqoura (nella base dell'Onu sul confine israelo-libanese), e ci sono state trattative condotte separatamente, sempre con la mediazione americana. E alla fine l'accordo è stato raggiunto".
Un accordo che ha come contraenti Israele e Hezobollah è, oggettivamente, abbastanza clamoroso.
"In una trattativa con il Libano c'è sempre un punto interrogativo, perché per arrivare al traguardo è necessario il benestare di tutte le diverse fazioni. All'inizio non sapevamo nemmeno noi se ci fosse davvero da parte loro la volontà politica di trovare un'intesa, e c'è voluto più tempo del previsto. Ma credo che il fattore determinante sia stato il fatto che questo accordo porta dei benefici economici importanti anche al Libano, che al momento è in condizioni difficilissime, ha energia elettrica per 2-3 ore al giorno, è in preda a una crisi economica disastrosa ed è terribilmente instabile. Se Hezbollah si fosse opposto, sarebbe stato accusato di non far nulla per migliorare le condizioni di vita del popolo libanese".
Netanyahu in campagna elettorale ha accusato il governo Lapid di aver svenduto gli interessi israeliani firmando questo accordo. Ora che ha vinto le elezioni, non c'è il rischio che tiri indietro la mano? O era solo retorica elettorale?
"Qualsiasi cosa lei mi chieda su quali saranno le decisioni del prossimo governo, devo per forza rispondere con cautela: non posso ancora saperlo, vedremo dopo che sarà entrato in carica. Ma sono convinto che Israele andrà avanti sulla strada tracciata, e che rispetterà l'accordo se anche il Libano farà altrettanto. Credo sia nell'interesse di tutti. Certo, essendo Hezobollah la principale forza militare presente in Libano, non posso escludere che un'eventuale decisione di tornare ad attaccarci militarmente possa mettere in pericolo l'applicazione dell'intesa sul gas. Purtroppo anche questa è un'eventualità".