di Gideon Levy
Haaretz, 23.09.2022
Israele vuole un'altra Intifada, non c'è dubbio. Non c'è altra spiegazione per il comportamento sfrenato degli ultimi mesi, anche se non è chiaro quale possibile beneficio potrebbe derivare da un ulteriore inutile spargimento di sangue. Inutile, ma Israele lo vuole: quello che sta facendo ultimamente nei Territori Occupati porterà inevitabilmente a un'altra Intifada. Israele lo sa bene. Quindi, si deve concludere che questo è ciò che vuole.
Tutti gli elementi assenti per lo scoppio di un'altra Intifada mancano solo da parte palestinese: i palestinesi mancano di una guida, mancano di sostegno arabo e internazionale, mancano di unità e di spirito combattivo, senza i quali l'intifada tarderà ad arrivare. Ma Israele ha fatto di tutto per alimentare uno scoppio di rabbia e violenza che la innescasse.
"Cosa potevano aspettarsi da Trad Salah?", il cui figlio Uday, 17 anni, è morto quando un cecchino dell'IDF gli ha sparato un proiettile alla testa e uno nel cuore da una distanza di 100 metri a Kafr Dan. La domanda era sospesa nell'aria all'interno della sua casa, che non si riprenderà mai dal suo dolore. I due uomini che hanno ucciso il Maggiore Bar Falah al posto di blocco di Jalamah la scorsa settimana provenivano da questo villaggio militante. Ad aprile, i soldati hanno ucciso due uomini disarmati nel villaggio. Ora hanno ucciso Uday. Tra pochi giorni, l'esercito farà irruzione nel villaggio e raderà al suolo le case degli assassini di Falah. L'avviso è scritto sul muro delle abitazioni. I becchini possono mettersi al lavoro nel cimitero di fronte alla casa di Salah, che può vedere la tomba di suo figlio dalla finestra.
Cosa si aspettavano gli israeliani? Chiedano ai comandanti dell'IDF e dello Shin Bet che lasciano che l'esercito e il servizio di sicurezza facciano quello che vogliono. Chiedano al Presidente del Consiglio e al Ministro della Difesa del cosiddetto governo del cambiamento e dell'unità, che ha permesso e incoraggiato tutto questo. Cosa vi aspettavate, dovrebbe essere chiesto a tutti gli israeliani che rimangono in silenzio. Nessun popolo che ha sofferto come ha sofferto il popolo palestinese rimarrà in silenzio, e questo include il popolo palestinese tra Rafah, nella Striscia di Gaza, e Jenin in Cisgiordania.
Le azioni che Israele ha intrapreso negli ultimi mesi sono un biglietto di sola andata per una rivolta popolare, anche se dovesse fallire come le due precedenti. Il maggior numero di vittime palestinesi e detenzioni senza processo in sette anni e il maggior numero di attacchi violenti da parte dei coloni, forse più che mai. Cosa si aspettavano? Punizioni collettive, punizioni sommarie, quindi cosa si aspettavano? Cosa si aspettavano da un esercito il cui comandante si vanta di quanto sia letale e i cui soldati sanno che possono agire impunemente?
È difficile decidere da dove cominciare: dall'Apartheid quotidiano, dal contadino palestinese che ha cercato di proteggere se stesso e la sua proprietà dagli attacchi dei coloni che gli hanno fratturato le mani, ed è stato detenuto per due settimane mentre il colono che lo ha ferito se ne va in giro libero? O dall'uccisione di Shireen Abu Akleh, seguita dai tentativi menzogneri dell'IDF di sottrarsi a tutte le responsabilità per lo spregevole crimine e di sostenere i soldati che le hanno sparato nonostante avessero visto che era una giornalista?
Con l'incredibile leggerezza con cui i soldati uccidono manifestanti disarmati, quasi ogni giorno, e l'incredibile indifferenza pubblica con cui viene accolto questo massacro? Con la santificazione dell'esercito di occupazione? Con il modo disgustoso in cui l'esercito è glorificato dai media, una tendenza che ultimamente è tornata a crescere a livelli spaventosi? Non passa giorno senza la copertura servile di un soldato esemplare o di un'unità militare.
Cosa si aspettavano dall'esclusione israeliana del Presidente palestinese Mahmoud Abbas dall'incontro del Primo Ministro Yair Lapid con Re Abdullah alle Nazioni Unite, come se fossimo tornati in qualche modo ai giorni dell'"opzione giordana" di Shimon Peres? Dall'esercito e dalla crescente intossicazione da potere dei coloni? Da dove cominciare?
È molto più facile immaginare come finirà. Finirà con il sangue. Ancora più sangue. Con una violenta rivolta. Potrebbe essere molto brutale e sarà abbastanza facile comprendere, e persino giustificare, le motivazioni.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell'Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell'Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Traduzione di Beniamino Benjio Rocchetto