La soluzione sudafricana non funzionerebbe in Palestina

Ran Greenstein sostiene che i palestinesi non dispongono degli strumenti per combattere Israele come Stato etnonazionale oppressivo nello stesso modo in cui lo hanno fatto i sudafricani.    Abba Solomon 30 agosto 2022 , https://mondoweiss.net/2022/08/the-south-african-solution-will-not-work-in-palestine/

Le organizzazioni per i diritti umani Amnesty International, Human Rights Watch e B'Tselem hanno riconosciuto che il dominio di Israele sui palestinesi corrisponde alla definizione del crimine di apartheid, un crimine contro l'umanità che prende il nome dal sistema di leggi che ha sancito il dominio della minoranza bianca in Sudafrica tra il 1948 e il 1994.

Un nuovo libro del sociologo sudafricano-israeliano Ran Greenstein, Anti-Colonial Resistance in South Africa and Israel/Palestine, è un buon riferimento riguardo alle analogie e le differenze che esistono tra le lotte per i diritti umani di Israele/Palestina e del Sudafrica. 

Nei suoi studi Greenstein si è già occupato sia della vittoria della maggioranza in Sudafrica che della resistenza anticoloniale in Palestina con un libro del 2014 in cui ripercorre la storia dei piccoli movimenti democratici ebraici travolti poi dallo slancio nazionalista dello Stato-nazione ebraico -e dall'oppressione che esso comportava- dall'inizio del progetto sionista in poi.

Lo scopo di questo nuovo libro è di riconoscere le differenze e le analogie in queste particolari versioni del colonialismo e della resistenza.

Si potrebbe pensare che queste possano portare a immaginare come nella situazione Israele/Palestina possa realizzarsi una transizione simile, passando da uno Stato etnonazionale oppressivo alla democrazia, come ha fatto il Sudafrica. Tuttavia, l'argomentazione di Greenstein è più cauta, concludendo che i palestinesi non hanno ora la forza e i mezzi per  imporre una "soluzione sudafricana" tale da comportare  un accordo pacifico con  l’accettazione della regola della maggioranza e con tutele per le minoranze.  Greenstein spiega il suo ragionamento nei capitoli conclusivi,dopo averci fatto ripercorrere la storia della resistenza in Sudafrica e in Palestina.

Greenstein contesta l’uso del termine "colonialismo d’insediamento" come categoria applicabile nello stesso modo al Sudafrica che alla Palestina, in quanto il punto di forza di tale termine è anche il suo punto debole: è applicabile a una grande diversità di condizioni. Tale categoria può essere applicata a società in cui i coloni hanno sopraffatto la popolazione indigena fino a renderla trascurabile: non più del 2-3% della popolazione negli Stati Uniti d'America (USA), in Canada e in Australia... [e può essere applicato a luoghi come] il Kenya, la Rhodesia, l'Algeria, il Mozambico e il Sudafrica - [dove] gli indigeni sono rimasti la maggior parte della popolazione e la principale fonte di forza lavoro.

Greenstein ricorda  che i palestinesi sono demograficamente divisi in quattro gruppi principali - i cittadini di Israele, i residenti della Cisgiordania e di Gaza occupate, i rifugiati vicini e la diaspora mondiale dei palestinesi - tutti con regole e campi di attività diversi.

A differenza del Sudafrica bianco, che dipendeva completamente dal lavoro dei non bianchi, Israele non ha bisogno di nulla dai palestinesi, se non che questi se ne vadano e non tornino più.

Anche se esiste una solidarietà tra i 4 gruppi di palestinesi, Greenstein sostiene che i dati mostrano l'incapacità di queste comunità distinte di minacciare seriamente la continuazione dello Stato sionista.  La manodopera della Cisgiordania, e in precedenza di Gaza, è utile ma non indispensabile.  Greenstein afferma che nel caso sudafricano, la pressione esterna di boicottaggio contro l'apartheid ha integrato il forte potere creato da anni di organizzazione sindacale della forza lavoro africana e "di colore", insieme a un ampio movimento di resistenza civile guidato dall'African National Congress.  Egli afferma che, nel caso palestinese, la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) all'estero, per quanto ammirevole e utile, non può accrescere il potere palestinese mancante, né può esercitare da sola una pressione sul regime israeliano.

Il sistema Israele/Palestina corrisponde alla definizione di apartheid nel diritto internazionale, ma combatterlo presenta problemi diversi rispetto al movimento anti-apartheid in Sudafrica. Il maggiore di questi problemi è la difficoltà di attuare un cambiamento dall'interno quando la maggior parte delle forze che cercano tale cambiamento sono situate all'esterno, sia fisicamente che politicamente.

La parte più importante della strategia anti-apartheid del Sudafrica  Secondo Greenstein, aspettarsi gli stessi risultati che nei nel boicottaggio del Sudafrica governato dai bianchi finisce per ignorare la parte più importante della strategia anti-apartheid del Sudafrica: "la lotta interna di massa per minare e trasformare il sistema politico dall'interno".

La supremazia bianca in Sudafrica   Greenstein sottolinea che per tutta la storia del Sudafrica, la supremazia bianca è stata un mezzo per assicurare la prosperità dei bianchi, utilizzando il lavoro nero come base. L'apartheid è stata solo una continuazione istituzionalizzata di quella storia e un mezzo per consolidare la "dominazione bianca".  Al contrario, la colonizzazione sionista riguardava la terra, non le persone. Il "lavoro ebraico" e la "conquista della terra" erano gli slogan principali durante l'era dell'Yishuv pre-1948.  

I progetti sionisti significavano insediamenti sionisti armati con lavoratori esclusivamente ebrei, imprese esclusivamente ebraiche, canali commerciali esclusivamente ebraici e acquisti di terreni esclusivamente ebraici da parte del Fondo Nazionale Ebraico (fin dal 1901) "per il popolo ebraico", il tutto al servizio della creazione di una società ebraica "autosufficiente" che potesse operare indipendentemente dalla popolazione palestinese autoctona, anche prima della Nakba.

Le terre acquistate dall'organizzazione sionista hanno comportato l'allontanamento dei fittavoli. Il significato dell'immigrazione sionista, per gli arabi, è stato quindi lo sgombero e la riduzione in povertà, poiché le proprietà sono state trasformate in imprese intenzionalmente a beneficio esclusivo degli ebrei.

Comprendere la natura dell'insediamento ebraico realizzato dalle organizzazioni sioniste rende chiaro il motivo per cui pensare a una soluzione attraverso un reciproco accomodamento è illusorio, in quanto le dottrine sioniste valorizzano solo l'egemonia ebraica, il più possibile isolata dagli arabi, nonostante le tante chiacchere che vengono fatte a beneficio delle pubbliche relazioni.

Greenstein analizza la differenza come segue:    Israele/Palestina ha vissuto una traiettoria diversa, producendo due gruppi etno-nazionali distinti che si contendono il territorio e le risorse, senza entrare in relazioni di interdipendenza come nel caso del Sudafrica. La dominazione politica era in Sudafrica principalmente un mezzo per raggiungere un fine economico mentre in Israele/Palestina è un fine in sé.

C'è una funzione che la popolazione della Cisgiordania e di Gaza svolge per la più grande nuova industria israeliana: sperimentare sulla propria pelle  le armi e le tecnologie di sicurezza ai fini della loro vendita a livello mondiale. Jeff Halper descrive i palestinesi come un banco di prova per lo sviluppo di nuovi prodotti.

Il potere di Israele nell’usare a piacimento un insieme di sorveglianza ad alta tecnologia e di assassinio mirato, si affina e si sviluppa contro la resistenza palestinese, il sumud e la nuda determinazione umana, come ha riferito Mariam Barghouti nel suo profilo di Ibrahim Nabulsi, il "leone di Nablus".

Greenstein esamina la diversità dei rapporti di potere in Sudafrica e in Palestina nel XX secolo. In Israele/Palestina hanno ridotto la resistenza palestinese a singoli martiri con armi individuali contro un esercito tecnologicamente moderno, e a varie milizie in grado solo di sparare razzi di bassa qualità.   Con gran parte della popolazione esiliata da Israele nel 1947-48, il movimento di resistenza/liberazione palestinese ha avuto bisogno di organizzarsi negli Stati arabi vicini. Questo ha reso la resistenza palestinese dipendente da "alleati" esterni incostanti che Israele aveva tutte possibilità di minacciare o cooptare. Greenstein si chiede se il movimento non avrebbe fatto meglio se non avesse avuto alcun sostegno - o almeno non avrebbe fatto peggio.  Il sostegno esterno ha in definitiva ostacolato lo sviluppo di un fronte e di obiettivi incentrati sulla Palestina, alternando imperativi palestinesi, nazionalisti panarabi, religiosi, comunisti internazionali e politiche di grandi potenze.

Purtroppo , quel che esiste oggi  in termini di organizzazioni unitarie ebraico-arabe non costituisce un movimento di massa. Greenstein sottolinea che 100 anni di lavoro sionista hanno imposto una rigida divaricazione ebrei/non ebrei in Palestina, impedendo alleanze significative basate su altri interessi e identità condivise che andassero oltre questa differenza.

Un insieme unificante di obiettivi articolati è stato invece uno dei punti di forza del movimento anti-apartheid in Sudafrica. Quando arrivò il momento dei negoziati, c'era un insieme condiviso di aspetti sui diritti umani  che poteva essere usato con forza, a cui veniva riconosciuto valore universale, che si imponevano all'accettazione da parte dei bianchi. Dall’altro verso, l'ANC poteva offrire sia la minaccia credibile di rendere impossibile la governance dell'apartheid - utilizzando azioni sindacali e mobilitazioni di massa - sia piani credibili per una democrazia multirazziale.

Una conclusione prudente   La tesi di fondo di Greenstein è che qualcosa dovrà cambiare per porre fine alla dominazione etnonazionalista israeliana dal fiume al mare. Questa conclusione non è brillante né speranzosa. I nazionalismi della Palestina e di Israele sionista non hanno una relazione tra loro che possa far prevedere una risoluzione negoziata "in stile sudafricano", basata sul riconoscimento condiviso di un'identità reciproca tra dominatore e soggiogato.   Questa conclusione ha implicazioni politiche. Il progetto di insediamento israeliano oltre le linee armistiziali del 1949 significa che il tempo della "soluzione a due Stati", ancora favorita a livello internazionale, è invece finito. In realtà, non è mai stato un obiettivo serio per Israele.

Gli ormai numerosi rapporti sui diritti umani che hanno riconosciuto Israele colpevole del crimine di apartheid hanno anche evidenziato come l'impellente necessità di libertà e diritti politici dei palestinesi sia analogo all'imperativo di libertà che animava il movimento anti-apartheid in Sudafrica, compresa la necessità di condividere equamente le risorse. Manca però nel caso palestinese una strada per raggiungere tale obiettivo - se non attraverso sanguinosi cataclismi.

Può sembrare che Greenstein si lasci andare a un esercizio accademico, paragonando da un lato ciò che il Sudafrica è riuscito a ottenere e dall’altro la lotta della Palestina. Senza farsi illusioni ma con costanza, egli si addentra in una riflessione sulla lotta dei palestinesi contro la versione israeliana dell'apartheid e contro il colonialismo di insediamento, alla ricerca degli interessi comuni che possano superare la rigida distinzione sionista tra ebrei israeliani e arabi palestinesi.   Questo libro non ha intenti polemici; non vuole sostenere che la spartizione del 1947 fosse sbagliata, o che la Nakba fosse un crimine storico, o che l'occupazione sia una continuazione del peccato originale sionista. Sono tutte affermazioni scontate.   Il presupposto e la ricerca implicita del libro è che la dimostrazione della giustezza della causa palestinese non servirà a nulla da sola. La giustezza deve essere accompagnata dall'esercizio di una pressione efficace per realizzarla. La domanda diventa quindi: con quali forze?

​A questo punto ci si può chiedere che importanza abbia il Sudafrica per il futuro della Palestina. L'indagine di Greenstein sulle strategie di organizzazione in entrambi i Paesi è importante?   Per questo autore, sembra che l'esempio del Sudafrica sia rilevante perché si tratta di un caso di brutale repressione basata sulla razza. La pressione concertata e la negoziazione hanno creato un nuovo Paese basato su una cittadinanza condivisa con identità multiple.  Vale la pena di guardare almeno al modo in cui ciò è avvenuto, considerando invece la sofferenza che si è creata in Israele/Palestina dove non si sta trovando una soluzione - una brutta situazione di brutale repressione basata sull'etnia, e una incessante sequenza di martiri. 

RESISTENZA ANTICOLONIALE IN SUDAFRICA E ISRAELE/PALESTINA - Identità, nazionalismo e razza, di Ran Greenstein

Trad. a cura di Claudio Lombardi di Associazione di Amicizia Italo Palestinese