Un anno e mezzo dopo essere stato ferito dai soldati israeliani, un giovane pastore giace paralizzato in una grotta

I soldati israeliani hanno sparato a bruciapelo ad Harun Abu Aram quando ha cercato di impedire loro di confiscare un generatore. L'esercito afferma che le vite dei soldati erano in pericolo e nessuno è stato punito. Ora Harun languisce sul pavimento della grotta della sua famiglia, paralizzato dalla testa in giù.
Di Gideon Levy e Alex Levac 
All'inizio, gli occhi devono abituarsi alla scarsa illuminazione della grotta. Poi, l'immagine si rivela in tutto il suo orrore: sul pavimento giace il corpo di un uomo, immobile, le gambe sollevate su una sedia di plastica, la testa avvolta in un asciugamano, gli occhi chiusi. Giace così per la maggior parte della giornata, forse dormendo, forse solo senza la volontà di aprire gli occhi. Ha giaciuto così per mesi e probabilmente rimarrà così per sempre. Suo padre gli asciuga il sudore dalla faccia, un tubo gli aspira il catarro dalla gola, un asciugamano gli è avvolto intorno all'inguine, una coperta gli copre il corpo. La vista è terribile. Dopo lo shock iniziale, perché niente ti prepara all'orrore, la compassione e l'inevitabile frustrazione, arriva un sentimento di rabbia contro uno Stato che abbandona una vittima dei suoi soldati in questo modo senza assumersi alcuna responsabilità per l'accaduto.
Il soldato che ha sparato ad Harun Abu Aram, il giovane che giace sul pavimento della grotta, paralizzato a vita, non è mai stato assicurato alla giustizia. La vita di Harun è giunta al termine, di fatto, il giorno in cui gli hanno sparato al collo circa un anno e mezzo fa, mentre la vita del soldato che gli ha sparato è proseguita indisturbata. Probabilmente non ricorda nemmeno come ha sparato al giovane pastore, a bruciapelo, quando Abu Aram ha cercato di impedire ai soldati di confiscare il generatore del suo vicino. Senza un generatore, non c'è vita nelle grotte delle colline a Sud di Hebron. La minima punizione che avrebbe dovuto essere inflitta al soldato e ai suoi commilitoni, gli intrepidi confiscatori dei generatori, gli audaci "combattenti" delle Forze di Difesa Israeliane, era di costringerli a visitare la grotta che fa parte della comunità di pastori di Khirbet al-Rakiz, ad entrare, stare lì, osservare la sua opera, e poi chinare la testa per la vergogna.
L'episodio è avvenuto il 1 gennaio 2021, il 24° compleanno di Harun. Harun è nato con l'aiuto di un'ostetrica di Yatta, nella stessa grotta in cui ora giace, incapace di muoversi. Un video girato da un residente ha documentato l'atto in cui i soldati hanno cercato di prendere il generatore, nel tentativo di spingere gli abitanti ad andarsene. Abu Aram e molti altri giovani cercano di impedirgli di prenderlo. Un gruppo tira da una parte, un altro tira dall'altra in una danza che nessuno sembra rendersi conto che diventerà una danza di fuoco che si concluderà con il terribile sparo che ha colpito Harun al collo. Il momento esatto in cui è stato sparato il colpo non è visibile nel video, solo il suo suono e poi le grida delle donne che hanno assistito allo svolgersi degli eventi, seguite dall'immagine di Harun Abu Aram che giace immobile a terra.
Harun Abu Aram con suo padre Rasmi nella sua casa.Credit: Alex Levac
Il padre di Harun, Rasmi Abu Aram, dice che i funzionari dell'Amministrazione Civile che lo hanno interrogato dopo l'incidente gli hanno chiesto chi avesse sparato a suo figlio. Poi sono arrivate le bugie dell'IDF: le "indagini" che ne sono seguite hanno portato l'esercito alla conclusione che i soldati dovevano affrontare un "chiaro e reale rischio per le proprie vite". Il cuore sanguina di fronte a questo pericolo immaginario. Un chiaro e reale rischio per la loro vita, da chi? Da un piccolo gruppo di pastori disarmati che cercano di salvare il loro generatore? Dopotutto, i video non mentono e non ci sono immagini che mostrino pericoli in agguato per i soldati, a parte spinte e spintoni reciproci e un tiro alla fune sul generatore, con urla in sottofondo. Niente di tutto ciò rappresentava un rischio, nemmeno per un unico capello di un solo soldato. Il colpo è stato accidentale, ha concluso l'indagine dell'IDF. I suoi soldati sanno solo sparare a bruciapelo quando la loro missione è confiscare un generatore? Non hanno altre capacità e tali errori devono davvero rimanere impuniti?
Ma tutto questo è solo storia per la famiglia Abu Aram, le cui vite da allora sono diventate insopportabili in un modo che non può essere descritto a parole. Subito dopo l'incidente, l'Amministrazione Civile israeliana ha tolto il permesso di lavoro a Rasmi, il padre, un lavoratore di 54 anni che lavorava nella pavimentazione di strade in Israele. Questo è ciò che fa l'Amministrazione con le famiglie di ogni vittima dell'IDF, nel caso in cui decidessero di vendicarsi.
Israele non si è assunto alcuna responsabilità per l'incidente e non ha pensato di fornire alcun aiuto riabilitativo o indennizzo finanziario, anche se tecnicamente è al di là degli obblighi di legge. Inoltre, lo scorso anno l'Amministrazione Civile è arrivata al punto di confiscare tre delle tende della famiglia, nel tentativo di scacciarle, anche dopo che il figlio è diventato così gravemente disabile. Inoltre, rifiuta il permesso alla famiglia di costruire una stanza dove il figlio possa vivere la sua vita in condizioni un po' più confortevoli di quelle della grotta, e non permetterà la pavimentazione di una strada di accesso alla casa ai piedi della collina. E così, Abu Aram giace sul pavimento della grotta mentre i suoi genitori e le sue sorelle si prendono cura di lui con grande dedizione, giorno e notte.
Rasmi Abu Aram  sua moglie Farissa, i genitori di Huran.Credit: Alex Levac
Rasmi indossa una maglia grigia con il logo dell'azienda Electra, a ricordo dei giorni in cui poteva ancora lavorare in Israele. Dopo l'infortunio del figlio, ha smesso di lavorare. La famiglia possiede 10 pecore e un piccolo orto alle pendici della collina; con questo dovrebbero sostenersi e prendersi cura di Harun. Le sue medicine e i pannoloni da soli gli costano tra i 5.000 e i 7.000 shekel (tra i 1.400 e i 1.950 euro) al mese. Non è chiaro da dove ottengano questa quantità di denaro. C'è un gruppo di rispettabili israeliani che li aiuta e in passato anche alcune ONG, ma la parte che avrebbe dovuto pagare per l' "errore" si rifiuta cinicamente di farlo. L'avvocato Hussein Abu Hussein sta attualmente portando avanti una causa legale contro l'esercito per cercare di costringerlo a pagare un risarcimento ad Abu Aram.
La casa di famiglia qui, fatta di pietra, è stata demolita dall'Amministrazione Civile nel 2020. Dopotutto, questa è la Zone di Fuoco 918. Tale distruzione, ovviamente, avviene solo quando sono coinvolti pastori palestinesi, mai i residenti degli insediamenti e avamposti israeliani circostanti, che includono il vicino avamposto di Ma'aleh Avigail.
Rasmi e sua moglie Farissa, 42 anni, hanno cinque figlie e due figli. Circa un anno prima che Harun fosse ferito, era stato arrestato per aver risieduto illegalmente a Be'er Sheva, dove lavorava per vivere. Per questo è stato condannato a quattro mesi di reclusione. Poco tempo prima che gli sparassero, si era fidanzato con una ragazza di uno dei villaggi vicini nella regione di Masafer Yatta. Il fidanzamento è stato annullato a causa della sua situazione. Ora Harun probabilmente non si sposerà mai.
In quel tragico venerdì, le forze dell'esercito arrivarono per demolire strutture appartenenti ai vicini della famiglia Abu Aram. Gli scontri sono iniziati su una strada sterrata nelle vicinanze, i soldati hanno sparato in aria e Harun ha visto uno dei soldati spingere e colpire suo padre. Si è precipitato sul luogo dello scontro, che può essere visto dalla tenda degli ospiti, dove ci siamo intrattenuti questa settimana, per difendere suo padre. Successivamente i militari hanno tentato di confiscare il generatore ai vicini, e poi è avvenuta la sparatoria, proprio davanti a Rasmi. Ha portato rapidamente il figlio ferito, che pensava fosse morto, nell'auto di un vicino. Ma poi i soldati hanno sparato alle gomme del mezzo che non ha potuto muoversi. Un altro veicolo è arrivato, dal villaggio di A-Tuwani, ma i soldati hanno bloccato la strada di uscita.
Presso la casa di famiglia di Harun Abu Aram.Credit: Alex Levac
Rasmi ricorda ora che un soldato ha puntato il fucile contro l'auto in cui veniva evacuato il figlio ferito; è stato costretto a tornare indietro. I residenti sono poi riusciti a portare Harun nel vicino villaggio di Karmil, dove ha ricevuto i primi soccorsi, l'IDF non ha pensato di soccorrerlo dopo la sparatoria, e poi è arrivata un'ambulanza palestinese che lo ha portato all'ospedale di Yatta. Dopo poco, i medici hanno informato la famiglia che non avevano i mezzi per fornire un trattamento adeguato ad Harun, che è stato portato all'ospedale Al-Ahli di Hebron. È stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale per oltre quattro mesi e mezzo.
I medici hanno detto ad Abu Arams che un proiettile aveva trapassato il collo del figlio recidendogli il midollo spinale. "È una testa senza corpo", ha detto uno di loro. Rasmi ha deciso di trasferire Harun in un centro di riabilitazione in Israele. L'Autorità Palestinese ha rifiutato di finanziare il ricovero sostenendo che non c'era spazio nelle strutture di riabilitazione israeliane. Tuttavia, con l'aiuto dell'ONG Medici per i Diritti Umani, Rasmi ha contattato il Centro di Riabilitazione Reuth di Tel Aviv, che ha accettato di prendere Harun. Trascorse lì cinque mesi al costo di quasi 100.000 shekel (28.000 euro) al mese, una somma che la sua famiglia doveva trovare; l'ONG Medici per i Diritti Umani ha contribuito.
I genitori di Harun si sono avvicendati a turno, ciascuno trascorrendo tre settimane al fianco di Harun. Ma poi, senza preavviso, le sue condizioni sono peggiorate e i medici sono stati costretti a trasferirlo all'ospedale di Ichilov, dove è rimasto per altre quattro settimane. "Brave persone", come le chiama Rasmi, lo hanno aiutato a sostenere le spese del ricovero lì. A quel punto Rasmi voleva rimandare suo figlio a Reuth ma non c'era posto, quindi riportò Harun nella grotta di Khirbet al-Rakiz che è la loro casa, molto probabilmente per il resto della sua vita.
Da allora, la vita della famiglia ha ruotato attorno alle cure del giovane. Soffre di piaghe da decubito e altre complicazioni mediche derivanti dalla sua situazione e dalle condizioni in cui vive. Ora respira in modo indipendente ma ha bisogno di un tubo per drenare la gola. L'attrezzatura dedicata è alimentata elettricamente e, fino a poco tempo fa, dipendevano da un generatore in un luogo in cui Israele non consente ai residenti palestinesi di connettersi alla rete elettrica. E i generatori vengono spesso confiscati. Di recente, l'ONG Comet-ME ha installato dei pannelli solari vicino alla loro grotta.
Harun Abu Aram non è più in grado di fare nulla in modo indipendente. Deve essere nutrito e lavato, e accudito per ogni altra necessità. Quando qualcosa prude, ha bisogno di qualcuno che gli dia sollievo, dice sua madre. È solo di notte, quando tutti dormono, che osa aprire gli occhi; altrimenti è troppo depresso per guardarsi intorno. A volte piange amaramente. Tre volte alla settimana Rasmi lo mette su una sedia a rotelle che sembra più una barella e lo porta su un'auto fatiscente, per condurlo a un controllo all'ospedale di Yatta; ogni mese, anche la macchina di drenaggio di Harun deve essere sottoposta a manutenzione. Rasmi vorrebbe comprare un'auto più adatta a trasportare la sedia a rotelle del figlio, ma non ha i soldi. Harun non può sedersi per un momento senza che la sua testa sia appoggiata poiché i suoi muscoli del collo si sono completamente atrofizzati.
Cosa dicono i medici? Rasmi risponde: "Halas, Halas! È finita. Non c'è nulla che si possa fare, dicono". Non c'è possibilità che la sua situazione migliori e non c'è altro che si possa fare dal punto di vista medico. La famiglia ha rinunciato alla riabilitazione, che può essere praticata con vari trattamenti innovativi e attrezzature speciali, ma è estremamente costosa.
Poche settimane fa, lo zio di Harun Abu Aram è stato rilasciato dalla prigione in Israele e Rasmi lo ha portato a una festa di famiglia in occasione del rilascio. Quando tornarono a casa nella grotta, Harun scoppiò a piangere ed era inconsolabile. "Avete mangiato tutti e io non riesco nemmeno a nutrirmi."
Rasmi dice che è disposto a portarlo dove vuole o deve andare. "Nessuna polizia o esercito mi fermerà, nemmeno a mezzanotte. Se è dell'umore, lo porto fuori". A volte porta Harun con sé quando sta pascolando il gregge della famiglia, solo per poter vedere qualcos'altro. Ma Harun è più calmo quando è a casa. Qui si sente protetto, dice suo padre.
Non c'è collera in famiglia per quello che è successo, almeno non in modo visibile. Solo una vaga speranza che in qualche modo qualcosa migliorerà. "Vorrei che potesse muovere solo una mano, solo una mano", dice Rasmi, aggiungendo che quando Harun vede i soldati, cerca di dire: "Guarda cosa mi è successo. Ho perso tutto, la mia vita, la mia fidanzata, il mio corpo e il mio lavoro".
"Nessuno può prendersi cura di lui come sua madre e le sue sorelle", aggiunge Rasmi, sottolineando che fino a poco tempo fa un'infermiera veniva a curare le piaghe da decubito di Harun. Ma ora sua madre può farlo da sola; in ogni caso non hanno soldi per pagare un'infermiera.
Questa settimana a un portavoce dell'IDF è stato chiesto se ci sono nuovi sviluppi nelle indagini sull'incidente. È stata data la seguente risposta: "In seguito all'incidente è stata avviata un'indagine dell'Unità Investigativa Criminale della Polizia Militare. L'indagine è stata completata e le sue conclusioni sono all'esame della Procura Militare".
Siamo entrati nella grotta. Gli occhi di Harun erano chiusi. Un asciugamano era avvolto intorno alla sua testa, era circondato dai suoi piccoli nipoti. Improvvisamente, aprì gli occhi e ci chiese di andarcene. Subito.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell'Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell'Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Alex Levac è diventato fotografo esclusivo per il quotidiano Hadashot nel 1983 e dal 1993 è fotografo esclusivo per il quotidiano israeliano Haaretz. Nel 1984, una fotografia scattata durante il dirottamento di un autobus di Tel Aviv smentì il resoconto ufficiale degli eventi e portò a uno scandalo di lunga data noto come affare Kav 300. Levac ha partecipato a numerose mostre, tra cui indiani amazzonici, tenutesi presso l'Università della California, Berkeley; la Biennale israeliana di fotografia Ein Harod; e il Museo di Israele a Gerusalemme. Ha pubblicato cinque libri.
Traduzione di Beniamino Rocchetto