La verità sul massacro di Tantura 1948

Internazionale 1449 | 25 febbraio 2022

Stéphanie Khouri, L’Orient-Le Jour, Libano

I fantasmi di Tantura

Un documentario rompe il silenzio su un massacro commesso dai soldati israeliani contro gli abitanti di un villaggio palestinese nel 1948. Rilanciando una tesi accantonata anni fa e il dibattito sul passato

Sabbia fine, laguna blu turchese, palme e bungalow. Dor beach è simile a decine di località balneari lungo la costa israeliana. Se non fosse per un dettaglio: il lido, una trentina di chilometri a sud di Haifa, sorge sulle rovine di Tantura, un villaggio cancellato dalle mappe quasi 74 anni fa

Sotto il parcheggio di uno dei litorali più popolari in Israele sono ammassati i cadaveri di centinaia di palestinesi uccisi durante la guerra del 1948-1949 tra i gruppi paramilitari ebraici e i contingenti arabi. Anche se i fatti sono già stati accertati da alcuni storici, ora sono accessibili al grande pubblico grazie alle rivelazioni di un nuovo documentario, proiettato in anteprima a gennaio al Sundance film festival, negli Stati Uniti.

Tantura anni 30 del novecento

Tantura, del regista Alon Schwarz, ricostruisce una memoria molto delicata, tornando ai giorni decisivi che segnarono la sorte degli abitanti del borgo mediterraneo. Nella primavera del 1948, subito dopo la dichiarazione d’indipendenza del nuovo stato israeliano, i soldati della brigata Alexandroni conquistarono quello che all’epoca era solo un modesto villaggio di pescatori palestinesi. Ma al posto delle immagini diffuse dalla propaganda ufficiale, il documentario mostra la parte più oscura dell’epopea sionista. Dopo aver separato donne e bambini, i soldati uccisero i prigionieri e saccheggiarono le case, lasciandosi alle spalle molti cadaveri, che qualche giorno dopo furono seppelliti in una fossa comune.

Mentre sul posto è stato eretto un monumento per rendere omaggio ai soldati ebrei caduti al fronte, quello che è successo davvero a Tantura è sprofondato nell’oblio per decenni. “Non l’ho detto a nessuno, neppure a mia moglie. Cos’avrei dovuto dirle, che sono un assassino?”, confessa un vecchio soldato della brigata.

Senza dubbi

Il documentario si basa sulle testimonianze inedite di combattenti, alcuni dei quali hanno più di novant’anni, che hanno deciso di rompere il silenzio. Attraverso le confessioni di Yitzaak, Yaakov, Haim e degli altri a poco a poco è ricostruito il quadro degli eventi del maggio 1948. Molti affermano di non ricordare. Alcuni negano l’esistenza di un vero e proprio “massacro”. Ma la maggior parte di loro riferisce fatti che, messi insieme, coincidono. Questa “verità inequivocabile”, come la chiama il quotidiano israeliano Haaretz, certifica l’uccisione di massa di prigionieri palestinesi, disarmati, quando i combattimenti erano finiti. Le cifre non sono chiare. Si va da alcune decine fino a diverse centinaia di vittime. “Duecentosettanta o duecentottanta corpi”, ricorda Motel Sokoler, che all’epoca coordinò le operazioni di sepoltura. In seguito alcuni combattenti hanno fatto carriera, come un ufficiale che uccise “un arabo dopo l’altro” e che poi è diventato “un pezzo grosso al ministero della difesa”. L’episodio è descritto come “selvaggio” o “disumano”. “Certo che li abbiamo uccisi”, ammette uno. Mentre un altro si chiede: “Com’è possibile restare normali dopo tutto questo?”.

Anche se l’uscita del documentario ha sollevato polemiche, non è la prima volta che Israele trema al ricordo di Tantura. Nel 1998 Teddy Katz, uno studente dell’università di Haifa che all’epoca aveva cinquant’anni, scatenò l’ira dei militari pubblicando a conclusione di un master, sotto la supervisione dello storico israeliano Ilan Pappé, una tesi in cui denunciava il massacro. La tesi, che contiene molte fonti riprese nel documentario, fu approvata dall’università. Ma quando se ne cominciò a parlare, in seguito alla pubblicazione di un articolo sul giornale israeliano Maariv nel gennaio 2000, le cose cambiarono.

Un’associazione di ex combattenti intentò una causa per diffamazione e una nuova commissione universitaria squalificò la tesi. Messo sotto pressione, Teddy Katz firmò una lettera di scuse che screditò il suo stesso testo e accelerò il processo. Il “caso Tantura” spinse Ilan Pappé a lasciare l’università di Haifa nel 2007 e a proseguire la carriera accademica nel Regno Unito.

Piccoli passi

Quando lo scandalo si esaurì, solo il dibattito tra storici specializzati proseguì all’interno di cerchie ristrette. Alcuni, come per esempio Yoav Gelber, riconoscono che ci sono stati dei morti, ma negano il massacro. Altri, come Benny Morris, capofila dei nuovi storici (un movimento israeliano degli anni ottanta che ha messo in discussione la versione ufficiale dei fatti del 1948-1949), ritengono che la “pulizia forzata” del villaggio sia innegabile. Pur restando prudente sull’esistenza di “prove inconfutabili di un massacro su vasta scala”, in un’intervista del 2009 ad Haaretz lo storico ha dichiarato che a Tantura sono stati documentati dei “crimini di guerra” e “uno o due casi di stupro”.

Oggi le rivelazioni del documentario di Alon Schwarz offrono un riconoscimento pubblico senza precedenti a chi da decenni denuncia i fatti. La stampa israeliana ha dedicato spazio alla storia. Haaretz ha parlato della “fine del silenzio”. “All’epoca il giornale aveva ridicolizzato le mie ricerche, dipingendomi nel migliore dei casi come poco serio, nel peggiore come uno squilibrato”, ha ricordato Ilan Pappé sul suo profilo Facebook.

Non è la prima volta che dei documentari tentano di affrontare la questione della nakba (la catastrofe palestinese), né che ex soldati parlano davanti alle telecamere per condividere i loro ricordi dei combattimenti.

Alcuni passi avanti (molto) timidi si registrano anche nel campo dell’istruzione, come per esempio la pubblicazione nel settembre 2021 di un manuale scolastico che per la prima volta nella storia d’Israele fa riferimento a una responsabilità del paese nell’esodo delle popolazioni arabe. Alcune cose stanno cambiando, ma solo marginalmente e in via eccezionale. Per il resto degli israeliani, cioè per la maggioranza delle persone, quello che è successo nel 1948 semplicemente non esiste. “Nel dibattito pubblico non ce n’è traccia”, si rammarica alla fine del documentario Avner Giladi, professore dell’università di Haifa.

Ancora sul massacro di Tantura 1948 di Ilan Pappè

Internazionale 1449 | 25 febbraio 2022

Una storia di bugie e infamia

Ilan Pappé, Middle East Eye

Lo storico israeliano che sostenne le prime rivelazioni sugli eventi di Tantura ricorda la

campagna di delegittimazione subita in seguito. Un’operazione che continua ancora oggi

 

 Gli abitanti di Tantura costretti a lasciare il villaggio nel maggio 1948

Alla fine degli anni novanta insegnavo all’università di Haifa. Uno dei miei corsi più seguiti si intitolava “La nakba”, ma quando la pressione da parte dell’università diventò insopportabile bisognò cambiare il nome in “Storia e storiografia del 1948”. Il compito principale degli studenti era fare una ricerca su quello che era successo nel 1948 nei luoghi dove vivevano o erano nati.

C’era uno studente straordinario, più grande di me, che viveva in un kibbutz, indossava pantaloncini corti anche nei giorni più freddi dell’anno e aveva grandi baffi alla Stalin. Si mise al lavoro con entusiasmo e scoprì che il kibbutz Magal, in cui viveva, era stato fondato sulle rovine del villaggio di Zeita. Ingenuamente tentò d’invitare i sopravvissuti della nakba del 1948 al kibbutz per parlare con i coloni che si erano impossessati del loro villaggio, ma fu deriso e criticato dagli altri abitanti del kibbutz.

Lo studente, Teddy Katz, voleva continuare a fare ricerca sul 1948 per la tesi conclusiva di un master e io gli suggerii di scrivere una piccola storia dei villaggi che subirono la nakba (il termine con cui si indica la cacciata dei palestinesi dalle terre occupate da Israele nel 1948). Ne scelse cinque a sud di Haifa, sulla costa mediterranea. Rifiutai di fargli da relatore perché ero già ai ferri corti con l’università su come insegnare e fare ricerca sulla storia della Palestina, perciò lui scelse due professori in linea con il pensiero dominante. La tesi ottenne un voto straordinariamente alto. Il quarto capitolo rivelava, attraverso documenti e interviste a soldati e palestinesi, che nel maggio 1948 l’esercito israeliano aveva compiuto un massacro nel villaggio di Tantura, un crimine di guerra che fino ad allora era sfuggito alla maggior parte delle storie conosciute della nakba.

C’erano sessanta ore di interviste e documenti su Tantura, che dimostravano l’uccisione di circa duecento abitanti commessa da soldati inferociti, entrati nel villaggio in seguito alla morte di otto dei loro compagni d’armi. Le esecuzioni erano descritte in modo esplicito da testimoni ebrei e palestinesi, ed erano citate nei documenti, che descrivevano anche le fosse comuni scavate nei pressi di un cimitero in cui oggi c’è il parcheggio del kibbutz nato sulle rovine di Tantura.

Sotto pressione

Katz non era obbligato a registrare le interviste, ma le condivise con chiunque volesse ascoltarle, me compreso.

Gli stessi soldati che avevano confessato di aver commesso il massacro furono sconvolti quando seppero che un giornalista aveva pubblicato le scoperte di Katz sul quotidiano Maariv. Sotto la pressione di altri veterani e con l’aiuto di un avvocato legato all’università fecero causa e smentirono le prove che avevano fornito, querelando Katz per diffamazione. Le autorità universitarie chiesero a Katz di consegnare i suoi nastri e lui commise il primo errore, perché non era obbligato a farlo. Sulla base delle registrazioni e di alcune discrepanze insignificanti tra le interviste e la loro trascrizione nella tesi (sei casi su centinaia di citazioni), i veterani andarono in tribunale e l’università si rifiutò di difendere l’eccellente tesi di Katz.

Incalzato dalla sua famiglia, e dopo la straziante esperienza del primo giorno di processo, Katz fu convinto a scrivere una finta confessione in stile staliniano in cui ammetteva di aver deliberatamente inventato la verità su Tantura. Se ne pentì qualche ora dopo, ma era troppo tardi, e il resto fu inevitabile. Il tribunale lo obbligò a pagare le spese processuali e il kibbutz lo emarginò. L’università pretese una nuova tesi, che lui scrisse aggiungendo prove ancora più solide sul massacro, e pur essendo promosso ricevette un voto più basso. La sua tesi fu rimossa dalla biblioteca. Non sorprende che con tutto quello stress Katz abbia avuto due ictus, e che oggi quella persona un tempo energica sia in sedia a rotelle. Tutto questo succedeva all’inizio degli anni duemila, mentre io facevo il possibile per spingere la mia università a cambiare atteggiamento, un impegno che alla fine mi è costato il posto di lavoro, anche se ero un docente di ruolo. Pubblicai un articolo in ebraico affermando che nel villaggio c’era stato un massacro, ma nessuno osò portarmi in tribunale.

All’epoca alcuni mezzi d’informazione israeliani ridicolizzarono me e Katz, altri ci chiamarono traditori. La campagna di delegittimazione del mio lavoro da parte di importanti storici israeliani continua ancora. Agli studenti è sconsigliato usare i miei libri, che quasi non si trovano nelle biblioteche, e di tanto in tanto compaiono sui giornali locali recensioni critiche, ma all’estero non è così.

La cosa importante

Oggi il regista Alon Schwarz ha finalmente raggiunto i protagonisti ebrei di quella tragedia. Alcuni hanno ammesso davanti alle telecamere che Katz disse la verità e registrò fedelmente la loro versione degli avvenimenti del 1948. Con l’aiuto di una tecnologia all’avanguardia Schwarz è riuscito a individuare le fosse comuni e ha spinto la giudice del primo processo ad ammettere di non aver mai ascoltato le registrazioni. Dopo averne ascoltata una, nel film riconosce che la sentenza avrebbe potuto essere molto diversa.

In ogni caso, non dovremmo dimenticare la cosa importante. Il massacro fu parte di un più vasto crimine contro l’umanità compiuto da Israele nel 1948, ancora in atto e ampiamente negato. I film o le tesi realizzate da israeliani onesti non sono abbastanza per rimediare a questo crimine.

L’unica conclusione giusta per fermarlo è decolonizzare tutta la Palestina storica e garantire il diritto al ritorno dei profughi palestinesi. In una Palestina libera e democratica un monumento commemorativo a Tantura potrebbe essere un richiamo significativo al passato. Ma quando questo compare solo sulle pagine di giornali sionisti progressisti come Haaretz, aggiunge il danno alla beffa, senza offrire una riparazione concreta ai mali del passato.

Ilan Pappé è uno storico e accademico israeliano. Ha insegnato storia e relazioni internazionali all’università di Haifa, in Israele, e dal 2007 insegna a Exeter, nel Regno Unito