Il mito delle guerre difensive israeliane, sfatato

27.06.2021,

Sin dai tempi della sua fondazione, fino all'attacco a Gaza del mese scorso, Israele si è sempre dipinta come una vittima, che difende il proprio diritto di esistere da aggressivi nemici arabi intenti alla sua distruzione. Questo argomento è stato usato per durante la "Guerra d'Indipendenza" del 1948, la guerra del 1967, l'invasione del Libano del 1982 e ;e molteplici invasioni del Libano e di Gaza nei primi anni 2000.

Nel 1948, secondo questa narrazione, i coraggiosi ebrei della Palestina dichiararono l'indipendenza di fronte a difficoltà insormontabili, sotto forma di eserciti arabi da Giordania, Egitto e persino dall'Iraq, che si riversarono in Israele con una massiccia invasione. In qualche modo riuscirono a strappare la vittoria dalle fauci della sconfitta, e così nacque lo stato ebraico.

Nel 1967, il focoso dittatore egiziano Nasser chiuse lo Stretto di Tiran e minacciò di "buttare gli ebrei in mare". Grazie all'intervento di una provvidenza quasi divina, Israele capovolse la situazione e ottenne una vittoria miracolosa. Nel 1982, il Libano era diventato un covo di terroristi di Fatah che dirottavano aerei e si impegnavano in simili atti terroristici. Assassini palestinesi avevano persino ucciso un diplomatico israeliano a Londra,  atto scatenante per l'invasione del Libano da parte di Ariel Sharon.

Nel corso degli anni 2000, Israele invase più volte il Libano e Gaza per vendicarsi dell'uccisione di soldati israeliani (Libano, 2006) o del lancio di razzi da Gaza contro Israele. Questi attacchi israeliani sono sempre stati presentati come atti di autodifesa per sradicare i terroristi che si rifiutano di permettere ai civili israeliani di vivere in pace.

Ma una nuova inchiesta su Haaretz, basata su ricerche negli archivi del governo israeliano, mostra che quasi niente di tutto questo è vero. Israele non è mai stato la parte debole (tranne forse che nei primi giorni della guerra del 1973) nelle sue battaglie militari. L'idea di un paese assediato che affronta nemici che superano di molte volte la propria forza militare è un mito coltivato a lungo dal movimento sionista e dagli apologeti filo-israeliani.

Nel 1948, Ben Gurion sapeva che dichiarare uno stato avrebbe portato a un'invasione araba. Ma riteneva che avrebbe avuto il sopravvento e che le sue forze fossero più che in grado di respingere la minaccia degli eserciti arabi combinati. Ed aveva ragione.

Nel 1967, Israele lanciò un attacco preventivo che decapitò l'aviazione egiziana, assicurando così una vittoria israeliana. Nel 1982, Sharon sfruttò l'attacco a Shmuel Argov da parte della fazione rinnegata di Abu Nidal per ristrutturare il Libano a piacimento di Israele. Cercò, una volta per tutte, di eliminare l'OLP dal paese e di portare al potere i fascisti cristiani falangisti. Installando quello che sarebbe stato in effetti un regime fantoccio filo-israeliano, il ministro della difesa israeliano cercò di modellare la geopolitica della regione in favore di Israele. A causa del massacro di Sabra e Shatilla e dell'assassinio del candidato presidenziale designato da Israele, Bashir Gemayel, le cose non andarono come Sharon aveva previsto.

Il rapporto segreto dell'IDF che anticipava la conquista permanente e l'occupazione di territori alla frontiera con i suoi vicini arabi 

La narrativa dell'autodifesa e di uno stato ebraico assediato dai nemici è smentita da una contro-narrazione molto più realistica. In effetti, il primo ministro fondatore di Israele, David Ben Gurion, fin dagli anni '20 aveva pianificato l'espulsione dei palestinesi indigeni. Uno dei pilastri dell'ideologia sionista era la necessità di una maggioranza ebraica per garantire che il nuovo stato sarebbe stato creato da e per i suoi cittadini ebrei. In quanto tali, i palestinesi erano una minaccia; ed eliminarli, come fece durante la Nakba, fu la realizzazione di una storica visione sionista.

Ma non era abbastanza. Una volta che Israele si era assicurato la sua supremazia demografica ebraica interna, comnciò a rivolgere la sua attenzione agli stati arabi confinanti. Cercò di assicurarsi che nessuno di loro potesse minacciare gli interessi di Israele. E progettava di farlo con la conquista aggressiva, l'occupazione e l'annessione del territorio dei suoi rivali. Avrebbe combattuto guerre di conquista, non guerre di autodifesa.

Adam Raz inizia così il suo reportage su Haaretz:

Per anni, la maggior parte della storiografia israeliana ha sostenuto che i leaders del paese furono colti di sorpresa dai frutti della vittoria, raccolti alla velocità della luce nel giugno 1967. "La guerra", disse il ministro della Difesa Moshe Dayan, tre giorni dopo la sua conclusione, "si era sviluppata su fronti che non erano previsti e non erano stati pianificati in anticipo da nessuno, me incluso". Sulla base di queste e altre affermazioni, si radicava l'opinione che la conquista dei territori in guerra fosse il risultato di una rapida discesa lungo un pendio scivoloso, una nuova realtà che nessuno voleva.

Tuttavia, la documentazione storica conservata negli Archivi di Stato israeliani e negli archivi delle forze di difesa israeliane e dell'establishment della difesa mette in dubbio la credibilità di questo punto di vista.

In effetti, le stesse terre che Israele ha occupato e annesso, e altre aree di territorio che ha invaso ma non ha mantenuto, sono state a lungo ambite dai pianificatori militari israeliani ben prima del 1967 (in alcuni casi fin dai primi anni '50):

I documenti descrivono dettagliati preparativi che furono fatti dalle forze armate negli anni precedenti al 1967, con l'intenzione di organizzare… il controllo di territori che l'establishment della difesa valutava – con grande certezza – sarebbero stati conquistati nella prossima guerra . Un esame delle informazioni indica che l'acquisizione e il mantenimento di queste aree - la Cisgiordania dalla Giordania, la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza dall'Egitto e le alture del Golan dalla Siria - non erano un sottoprodotto dei combattimenti, ma la manifestazione di un approccio strategico e di preparativi preliminari .

Nel 1961, uno stratega militare dell'IDF preparò un rapporto che delineava la conquista anticipata della Cisgiordania in una guerra futura, una visione realizzata sei anni dopo nella guerra del 1967. Due anni dopo (1963), il ramo operativo dell'esercito, allora guidato dal futuro capo di stato maggiore e primo ministro, Yitzhak Rabin, elaborò un piano dettagliato che prevedeva non solo la conquista dei territori occupati, ma puntava su obiettivi ben più audaci. :

…[La] direttiva [dettagliava] l'organizzazione del governo militare [israeliano] nei territori. Questo ordine getta luce, nelle sue parole, sulle "previste direzioni di espansione" di Israele, che nella valutazione del personale di sicurezza sarebbero al centro della prossima guerra. Questi territori includevano la Cisgiordania, il Sinai, le alture siriane fino a Damasco e il Libano meridionale fino al fiume Litani.

Intitolato "Direttiva di organizzazione - Governo militare in stato di emergenza", affermava che "la spinta dell'IDF a spostare la guerra nei territori  nemici porterà necessariamente all'espansione e alla conquista di aree oltre i confini dello stato".

In altre parole, quattro anni prima della guerra del 1967 Israele stava già pianificando di conquistare militarmente quasi tutto il territorio che alla fine avrebbe occupato. L'unico obiettivo che non realizzò nel 1967 fu l'occupazione del Libano meridionale. Avrebbe dovuto aspettare altri quindici anni prima dell'invasione di Sharon.

Il rapporto prevedeva due possibili scenari dopo la conquista militare:

… affermava che sarebbe stato necessario installare rapidamente un governo militare, perché "queste conquiste potrebbero durare solo per breve tempo e dovremo evacuare i territori a seguito di pressioni internazionali o di un accordo". Tuttavia, la parte successiva era destinata a coloro che sarebbero stati incaricati di amministrare il governo militare nella futura area occupata, e accenna alle intenzioni degli autori: “ Potrebbe però svilupparsi una situazione politica conveniente, che renda possibile mantenere il territorio occupato a tempo indeterminato ”.

Non è un caso che l'occupazione israeliana dei territori palestinesi stia durando da oltre 50 anni. In effetti, questa era fin dall'inizio l'intenzione di coloro che l'hanno conquistata. Quindi la prossima volta che leggerete le affermazioni dei difensori di Israele, secondo cui non avrebbe mai voluto diventare un occupante o che non ha mai voluto la guerra con i suoi vicini, ricordi questo importante pezzo di ricerca storica sionista.

Un altro fatto poco noto è che la prevista occupazione di queste terre arabe doveva essere modellata sui Regolamenti di emergenza israeliani che regolavano la vita dei cittadini palestinesi di Israele fino al 1966. Quei palestinesi che non furono cacciati dalle loro case nel 1948 e che rimasero in Israele furono soggetti a legge marziale. La loro vita quotidiana fu severamente limitata, ponendo le basi per l'apartheid, il trattamento razzista che subiscono tuttora:

Coinvolgere nella pianificazione gli ufficiali del governo militare che era stato imposto ai cittadini palestinesi di Israele dal 1948 era logico, perché il quadro organizzativo e militare che operava su quella comunità costituiva la base per il governo nei territori che sarebbero stati conquistati in una guerra. Nel 1963, le unità del governo militare avevano già 15 anni di esperienza nell'imporre “ordine” e supervisione su quei cittadini palestinesi, attraverso un rigido regime di permessi. Da un punto di vista militare, aveva senso che questo organismo fungesse da modello per la struttura del governo nei territori che sarebbero stati conquistati nella guerra successiva.

 

Traduzione a cura dell'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze