Said proponeva la pace attraverso la convivenza, l’autodeterminazione e l’uguaglianza tra palestinesi e israeliani e credeva che la “vera pace” sarebbe stata raggiunta con uno stato bi-nazionale israelo-palestinese.
di Amelia Smith
Middle East Monitor, 25.09.2015
Durante una conferenza presso l’Università del Massachusetts-Amherst, nel 1997, Edward W. Said fece la seguente dichiarazione su come l’Islam viene definito dall’Europa e dagli Stati Uniti: “Ciò che è descritto come Islam appartiene al discorso dell’Orientalismo, un artificio prodotto per suscitare sentimenti di ostilità e antipatia contro una parte del mondo che sembra essere di importanza strategica per la presenza del petrolio, che minaccia la vicinanza al cristianesimo, la sua storica competizione con l’Occidente”.
Ciò fa parte di quello che Said definisce “lo scontro dell’ignoranza”. Egli smentisce un principio avanzato da studiosi come Samuel P. Huntington e Bernard Lewis, secondo cui lo “scontro di civiltà”, o la differenza tra la cultura orientale e quella occidentale, porterà le due regioni del mondo a scontrarsi. La teoria di Said, d’altra parte, è che l’Occidente presenta discorsivamente l’Oriente come “corrotto”, “pigro” e “monolitico”, mentre si descrive come “superiore” o “progressista”, in modo da poter mantenere la superiorità culturale occidentale e l’imperialismo sul mondo in via di sviluppo.
Questa nozione di noi-e-loro, basata sulla divisione intellettuale del mondo, è ciò che contraddistingue l’opera Said. È un problema che solleva in gran parte dei suoi scritti, anche se forse il più famoso di questi è il suo libro del 1978 “Orientalismo”, che in seguito avrebbe aperto la strada alla disciplina accademica degli studi post-coloniali.
Edward W. Said nacque a Gerusalemme sotto il mandato britannico, ma si trasferì al Cairo con la sua famiglia durante la Nakba del 1948, quando divennero rifugiati. Egli riferì che la sua prima educazione avvenne in quelle che definì “scuole coloniali d’élite”. Said descrisse il Victoria College del Cairo come “una scuola creata proprio per istruire quegli arabi e levantini della classe dirigente che avrebbero occupato i vertici del potere dopo la sinistra britannica”. Tra i suoi compagni di classe c’erano diversi nomi familiari, come l’attore egiziano Omar Sharif e il futuro re Hussein di Giordania.
Successivamente, Said si trasferì in America per proseguire gli studi. Dopo aver conseguito la laurea specialistica a Princeton e un dottorato di ricerca ad Harvard, divenne Professore di Letteratura Inglese e Comparata alla Columbia University di New York. Durante la sua carriera tenne conferenze in più di 150 università e college e scrisse decine di libri, molti dei quali furono tradotti in diverse lingue. Contribuì con articoli al Guardian, al New York Times, Le Monde Diplomatique, Counterpunch, alla New Left Review, alla London Review of Books, Al-Ahram, Al-Hayat e The Nation, per i quali scrisse anche critiche di musica classica. The Nation lo definì come “uno degli accademici più importanti degli Stati Uniti”.
Oltre che prolifico accademico e scrittore, Said era noto come un impegnato attivista politico. In un’intervista del 2013 con MEMO, sua sorella, Jean Said Makdisi, descrisse il 1967 come un “anno spartiacque per Edward”. “Lo trasformò e lo spinse a volgersi all’attivismo e alla partecipazione, perché era un periodo davvero terribile per un arabo in America”, ha detto, descrivendo i media americani in quel momento come “viziosi e ignoranti”.
Said scrisse spesso delle ingiustizie affrontate dal popolo palestinese e fu particolarmente critico nei confronti degli accordi di Oslo firmati tra Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). “Per quanto riguarda il ‘processo di pace’ di Oslo iniziato nel 1993, esso ha semplicemente riproposto l’occupazione”, scrisse in un articolo del 2001 per la New Left Review, “offrendo un simbolico 18% della terra sequestrata nel 1967 alla corrotta Autorità Nazionale Palestinese di Arafat, simile alla Repubblica di Vichy, il cui mandato è stato essenzialmente quello di sorvegliare e tassare il suo popolo per conto di Israele “.
Nel 2002, alcuni dei suoi saggi sull’argomento furono raccolti nel libro “The End of the Peace Process: Oslo and After“, in cui scrive del defunto leader palestinese Yasser Arafat: “L’idea è che la Palestina immaginata da Arafat lo lascia completamente solo a governare a suo piacimento, e ciò, a sua volta, dipende dalle concessioni di Israele”. Descrisse gli israeliani e l’Autorità Nazionale Palestinese come “la doppia occupazione”.
La sua disapprovazione si estese ad altri leader del mondo arabo. “Quale leader è stimato, ammirato, considerato un modello?”, chiese in Oslo and After. “Il numero è estremamente ridotto. Con metà della popolazione araba ora costituita da persone estremamente giovani (sotto i sedici anni), il vuoto morale nei governi è molto grave”. Criticò anche gli Stati arabi per la vendita di armi, le società militari, il declino delle libertà democratiche e il calo dei livelli di istruzione e della produzione agricola.
Said proponeva la pace attraverso la convivenza, l’autodeterminazione e l’uguaglianza tra palestinesi e israeliani e credeva che la “vera pace” sarebbe arrivata con uno stato bi-nazionale israelo-palestinese. Said era irremovibile sul fatto che la Palestina non dovesse essere trattata come una causa nazionalista – la mentalità del “questo è mio e lo rivoglio indietro”, come diceva sua sorella –, ma credeva invece che chiunque subisca delle ingiustizie in qualsiasi luogo debba essere sostenuto. Said morì di leucemia nel 2003 all’età di 67 anni. Dodici anni dopo la sua morte, il suo lavoro e le sue idee rimangono senza tempo.
Traduzione per InfoPal di Giulia Deiana
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