La scrittrice e attivista politica Susan Abulhawa narra la storia coraggiosa della terribile esperienza di una donna palestinese in isolamento in una prigione israeliana.
Di Miko Peled 07 Agosto 2020
Recensione del libro - La mia amica, l'autrice Susan Abulhawa, ha appena pubblicato un nuovo romanzo intitolato “Contro un mondo senza amore”. È autrice del bestseller internazionale "Ogni mattina a Jenin", di "Nel blu tra il cielo ed il mare " e di una raccolta di poesie intitolata "My Voice Sought the Wind" (La mia voce cercava il vento). Personalmente, ho trovato il suo nuovo romanzo coraggioso, onesto e non accomodante. La sua scrittura ha molte qualità, una di queste è che leggere il suo romanzo è molto simile al sentirla parlare.
Non accomodante
Uno degli aspetti più dolorosi di qualsiasi occupazione straniera, compresa ovviamente quella della Palestina, è come le persone occupate accolgono gli occupanti. Questo per la falsa convinzione che accogliere la bestia la calmerà.
E questo perché le persone che vivono sotto occupazione fanno affidamento sui loro oppressori, i loro occupanti, per tutto ed i regimi oppressivi approfittano delle debolezze dei loro sottomessi usando queste debolezze per ottenere informazioni o qualsiasi altra cosa di cui potrebbero aver bisogno per mantenere la loro oppressione. Questo va avanti da tempo immemorabile.
Poiché i palestinesi hanno bisogno di un permesso dallo Stato di Israele per quasi tutto, esiste un serio problema riguardo agli informatori. Che sia per avidità o necessità - non avendo mai vissuto personalmente sotto un'occupazione oppressiva, sarò l'ultimo a giudicare - molti palestinesi cooperano, collaborano e talvolta si limitano ad essere accomodanti con le autorità israeliane.
Esiste naturalmente un conflitto tra coloro che cadono nel circolo vizioso di cedere al regime e coloro che chiedono resistenza. Sappiamo che nel corso della storia questo ha portato le nazioni a spargimenti di sangue e guerre fratricide. Questo è il motivo per cui è particolarmente significativo che all'inizio della storia, Nahr, il personaggio principale del romanzo, dice: "Non mi interessa essere accomodante".
Le pagine del romanzo scorrono e noi veniamo a conoscenza della storia della vita di Nahr , attraversando gli alti e i bassi della vita imprevedibile di questa donna palestinese.
Poi, lentamente, mentre ci ritroviamo intrappolati nella sua storia, ci rendiamo conto che la riluttanza di Nahr ad essere accomodante corre come un filo per tutto il libro. Questo è ammirevole ma il prezzo che deve pagare è molto alto.
Un cubo e un linguaggio
Nahr è una detenuta in isolamento in una prigione israeliana e ci racconta la sua storia dalla sua piccola cella, che chiama "The Cube". Questa non è una cella normale, le autorità israeliane hanno collocato Nahr in una cella altamente sofisticata dove tutto è automatizzato: la luce e la doccia si accendono e si spengono da sole; lo sciacquone esce a orari prestabiliti e Nahr ha bisogno di adattarsi al loro programma. Non è in grado di dire se è giorno o notte o che ora del giorno è.
A Nahr non è consentito avere visitatori di sua scelta, ma di tanto in tanto entra nella cella un osservatore internazionale, un giornalista o una guardia carceraria. Durante queste visite casuali, Nahr esprime la sua riluttanza ad essere accomodante.
Dalla sua cella solitaria in una prigione israeliana, Nahr ricorda Ghassan Kanafani e James Baldwin, due grandi scrittori, che, come lei, non volevano essere accomodanti. Hanno sofferto molto a causa di quello che erano, uno palestinese, l'altro un nero americano. Entrambi hanno scritto e parlato con coraggio e chiarezza senza pari e, sebbene morti da decenni (Kanafani è stato assassinato da Israele nel 1972, Baldwin è morto di cancro nel 1987), rimangono icone della lotta contro il razzismo, l'oppressione ed il colonialismo.
Il libro di Abulhawa è ovviamente in inglese, ma Nahr usa la lingua araba per liberare noi e lei dalla sua piccola cella. Il romanzo si svolge nel mondo arabo, un mondo che esiste al di fuori della cella di Nahr. La cella, la prigione e l'intero Stato di Israele sono creazioni artificiali imposte alla Palestina. Nessuno di loro è organico e ognuno di loro - a vari livelli - viene utilizzato per imprigionare i palestinesi.
Nahr ci parla dall'interno della cella usando quanto più arabo palestinese possibile. Il suo arabo ci porta fuori dalla fredda cella artificiale, dalla prigione e persino da Israele - per quanto possibile rimanendo in Palestina - e ci colloca nel cuore del mondo in cui si svolge la storia.
Nahr usa l'arabo per i nomi di persone e luoghi, per i nomi di piatti arabi, per i soprannomi e per qualsiasi altra cosa ritenga opportuno. Il primo e forse più eclatante esempio di come Nahr usa l'arabo è il modo in cui scrive il nome, Muhammad. È senza dubbio il nome maschile più comune al mondo, e in arabo si pronuncia Mhammad, che è esattamente il modo in cui Nahr lo scrive per noi.
Tatreez
La storia di Nahr riporta alla mente due metafore. Il primo è un pezzo di Tatreez, o ricamo palestinese. I personaggi della storia sono i colori e i disegni che rappresentano le varie città, villaggi e regioni della Palestina. È ricamato su un panno nero, che è la Palestina. Il romanzo mostra sia l'immensa bellezza che l'indicibile tragedia della Palestina.
La seconda metafora è un grappolo di rampicanti che si attorcigliano e crescono attorno al tronco di un grande albero. In Palestina, lo si vede spesso. È particolarmente bello quando sono in fiore ed avvolgono grossi tronchi di alberi ad alto fusto. Le storie di Nahr e delle persone intorno a lei sono le piante che avvolgono un albero con un grosso tronco. Quell'albero è la Palestina.
Nahr è circondata da personaggi forti che rappresentano la vastità dell'esperienza palestinese. Le loro storie sono raccontate attraverso la storia di Nahr e insieme evocano emozioni potenti, che sperimentiamo insieme a lei. Includono innocenza, passione, amore e odio, tristezza e rabbia, ma anche tenerezza, desiderio e compassione delicatamente intrecciati. Abulhawa intreccia perfettamente la storia personale di Nahr e le storie degli altri personaggi nella più grande storia della Palestina.
La storia ci porta in due delle più grandi comunità di rifugiati palestinesi del mondo, il Kuwait e la Giordania. Ci troviamo faccia a faccia con i palestinesi che sono diventati rifugiati nel 1948, e poi di nuovo nel 1967, e poi brutalmente cacciati dal Kuwait e trasformati di nuovo in rifugiati a seguito della prima guerra del Golfo. Ogni volta che pensano di potersi finalmente fermare, succede qualcosa e sono costretti a ripartire di nuovo. Eppure durante questa dolorosa e apparentemente infinita odissea la loro ancora continua ad essere la Palestina. Nahr cerca di parlare con queste persone, di ascoltare la loro esperienza, ma viene accolta dal silenzio. Silenzio di una generazione di palestinesi che non sopporta di parlare della propria perdita.
Una storia d'amore
Le esperienze di Nahr forse non sono diverse da quelle di altre donne che vivono sotto regimi oppressivi. Ma in un aspetto la sua esperienza è davvero universale: sperimenta l'intera portata della crudeltà inflitta alle donne dagli uomini, dal patriarcato. La brutalità degli uomini nei confronti delle donne non è esclusiva di una particolare razza, nazionalità o cultura, e questo rende la sua esperienza universale. Tuttavia, sebbene soffra molto per mano degli uomini, Nahr è in grado di provare ed esprimere un amore profondo e sincero per un uomo.
Sebbene ci parli da una cella fredda e solitaria in cui è tenuta da Israele, Nahr è in grado di trasmettere sentimenti all'unico uomo che ama veramente e che la ama completamente. Lo descrive come "un desiderio sessuale reso insaziabile da un amore così vasto, come se fosse un cielo".
In una scena Nahr osserva quest'uomo che ama così profondamente, e quello che vede è: "la colpa, l'impotenza di vedere quegli insediamenti, l'angoscia per suo fratello, sua madre, gli anni in prigione, la tortura, l'incapacità di muoversi." Poi, riflettendo sul proprio senso di impotenza, dice: "Volevo prenderlo tra le braccia e aggiustare tutto", ma "tutto quello che potevo fare era aiutare a portare i bicchieri da tè".
La Palestina, per coloro che le sono stati strappati e per coloro che la hanno a cuore, è come una persona cara che muore per un cancro terminale. Per quanto possiamo sforzarci, tutto ciò che possiamo fare per lei mentre viene divora dal cancro della brutalità sionista, è metterla a suo agio.
Il dolore di Nahr è profondo e reale e leggendo questo romanzo spesso ci si dimentica che si tratta, in effetti, di finzione. Sperimenta il dolore come donna, come palestinese e come essere umano. Nelle stesse parole di Nahr, è "un dolore di clausura, irraggiungibile, immutabile".
Lo spirito della resistenza
Nahr descrive ciò che vede in Palestina, e che pochi, se non nessuno, osano ammettere:
“La costruzione epica di una nazione ebraica che si basa sul ritorno in patria”. Dice che l'inganno "era diventato una narrazione vivente, che si respirava e che aveva modellato le vite come se fosse stato verità". La costruzione epica e l'inganno sono la stessa cosa: il mito sionista su cui è stato creato lo Stato di Israele. Israele è un'enorme prigione che separa i palestinesi gli uni dagli altri e dalla loro terra. Per imporre la sua opprimente esistenza alla Palestina, lo Stato di Israele ha creato una brutale macchina da guerra.
Nahr descrive gli insediamenti per soli ebrei che vede diffondersi come un cancro in tutta la Palestina. Intere città, quartieri e case, comprese quelle appartenute a persone che lei conosce e ama e che sono state costrette a fuggire dalla loro patria, conquistate dai coloni ebrei.
Ma lo spirito della resistenza è vivo in Palestina e Nahr non starà a guardare mentre gli altri si preparano ad agire. È infuriata per la spietatezza di coloni e soldati, nascosti al sicuro nelle loro colonie esclusive e senza arabi. Vede come vivono sulla terra rubata ai palestinesi, come escono periodicamente per attaccare i palestinesi, come agiscono impunemente e lei, come molti altri, vuole giustizia.
Non appena Nahr capisce che le persone intorno a lei sono impegnate in atti di resistenza, vuole entrare in azione. Ma lei è un'estranea, è cresciuta in esilio in Kuwait e non è chiaro se ci si può fidare. Non è chiaro se lei stessa sia un'informatrice, nel qual caso lasciarla entrare sarebbe disastroso. Qui, ancora una volta, Nahr è poco accomodante, feroce e disposta ad affrontare le conseguenze delle proprie azioni.
Tastare il polso
Insieme a Ghassan Kanafani e Ibrahim Nasrallah, la scrittura di Susan Abulhawa ha la rara qualità di permetterci di ascoltare il suono, assaggiare il sapore, annusare la fragranza e tastare il polso della Palestina. Lei ne offre una visione rara e saremmo pazzi a non afferrarla.
Miko Peled è un autore e attivista per i diritti umani nato a Gerusalemme. È l'autore di "Il figlio del generale. Viaggio di un israeliano in Palestina ”e“ Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five”
https://www.mintpressnews.com/book-review-author-susan-abulhawa-against-the-loveless-world/270178/
Traduzione a cura di Associazione di Amicizia Italo-Palestinese