La palestinese Tlaib, la portoricana Cortes, la somala Omar e una nuova idea dei rapporti tra Usa e Israele. E sempre più ebrei statunitensi non criticano più solo l’occupazione dei Territori ma la natura stessa dello Stato ebraico
di Michele Giorgio, Il Manifesto,19 Agosto 2018 http://nena-news.it/usaisraele-democratiche-e-migranti-le-candidate-al-congresso-preoccupano-tel-aviv/
Roma, 20 agosto 2018, Nena News – I giornali l’hanno banalmente descritta come «la prima donna musulmana al Congresso». Invece è più giusto definire l’americana-palestinese Rashida Tlaib il primo parlamentare Usa a favore della costituzione di uno Stato unico per palestinesi ed ebrei. Ad onor del vero anche questa descrizione è riduttiva.
Tlaib è impegnata su più fronti: disoccupati, lavoratori in lotta, diritti civili. Tuttavia, è cosa nota, nella politica americana Israele occupa un posto centrale. Nessun candidato al Congresso Usa può sottrarsi all’obbligo di manifestare la sua lettura di ciò che accade in Medio oriente. In genere quasi tutti si dichiarano sostenitori, anzi tifosi, di Israele e delle sue politiche, qualche coraggioso arriva a dare appoggio alla soluzione dei Due Stati. Rashida Tlaib è andata più avanti. Se manterrà fede a ciò che va dichiarando, nella Camera dei deputati lei sarà portatrice dell’idea di uno Stato unico in cui ebrei e palestinesi, inclusi quelli dei Territori occupati, dovranno avere uguali diritti.
Tlaib, figlia di genitori palestinesi giunti negli Usa da Gerusalemme Est, fino a qualche tempo fa si proclamava a favore della nascita di uno Stato palestinese accanto a Israele. Vinte le primarie democratiche del Michigan – la sua elezione al Congresso è certa poiché non avrà oppositori repubblicani – ha cominciato a rendere più pubbliche le sue origini palestinesi. «Danno una grande energia al mio impegno in politica», ha detto in alcune occasioni. Quindi in tre interviste si è detta convinta che i Due Stati, Israele e Palestina, non possano più rappresentare una soluzione realizzabile. «Separati ma uguali non può più funzionare», ha spiegato proclamandosi a favore di uno Stato unico per i due popoli. Infine si è dichiarata contro l’aiuto economico e militare Usa a Israele.
La nuova rotta intrapresa da Rashida Tlaib due giorni fa ha spinto l’organizzazione ebraico-americana J Street, progressista, critica di Netanyahu ma rigidamente ancorata ai Due Stati, a ritirare l’appoggio che aveva dato alla sua candidatura. Una decisione che, tra le altre cose, mette sale sulla ferita del dibattito interno, sempre più intenso, su Israele e le sue politiche in cui sono immerse diverse organizzazioni ebraiche liberal.
«Nel sostenere Tlaib, J Street stava celebrando una futura congressista palestinese con un programma che avrebbe accolto la maggior parte degli ebrei americani – ha spiegato Batya Ungar-Sargon sulla rivista ebraica Forward – Il suo messaggio di giustizia per tutti, la sua coraggiosa opposizione alla retorica e alle politiche del presidente Trump e la sua insistenza sull’eguaglianza economica sono il tipo di cose per le quali vota la maggioranza degli ebrei americani».
Allo stesso tempo, ha aggiunto Ungar-Sargon, «revocando il sostegno a Tlaib, J Street ha voluto rappresentare anche la comunità degli ebrei americani, per molti dei quali la soluzione dei Due Stati è a dir poco dogma». Un dogma che è messo almeno in parte in discussione. Un certo numero di ebrei americani se un tempo criticavano solo l’occupazione dei territori palestinesi ora discutono della natura di Israele.
Rashida Tlaib
E l’approvazione il mese scorso da parte della Knesset della legge che definisce Israele Stato nazionale degli ebrei – contestata dai cittadini non ebrei – ha contribuito ad approndire il dibattito. Non sorprende che di recente siano stati proprio alcuni ebrei statunitensi, sionisti ma con una visione critica di Israele, come il giornalista Peter Beinart, ad essere fermati e interrogati dai servizi di sicurezza al loro arrivo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.
In Israele quanto si discute nella comunità ebraica è seguito con grande attenzione di pari passo all’emergere tra i democratici Usa di figure nuove, spesso seconda o terza generazione di immigrati. Personaggi che sfuggono alla classica immagine dell’esponente democratico americano che lotta per i diritti civili, lo stato sociale e manifesta allo stesso tempo un appoggio incondizionato a Israele. Come l’astro nascente Alexandria Ocasio Cortez, di origine portoricana, e la rifugiata somala Ilhan Omar, vincitrici delle votazioni nei loro distretti. La loro condanna aperta delle politiche di Israele non hanno mancato di fare notizia a 6mila km di distanza, a Tel Aviv.
Asha Omar, somala