Alakhbar English
18.09.2013
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Come l’Usaid uccide la resistenza popolare in Palestina.
La strategia per la costruzione di uno Stato palestinese è sostenuta da programmi economici e sociali volti a “conquistare i cuori e le menti” della popolazione sotto occupazione con programmi di sviluppo. L’USAID ha messo in pratica la questione della lotta al terrorismo con il chiedere ai beneficiari di firmare una dichiarazione di rinuncia al terrorismo come condizione per ricevere i sussidi.
di Alaa Al-Tamimi
Come il più grande donatore bilaterale economico e per lo sviluppo dei palestinesi, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) utilizza lo sviluppo sociale come uno strumento efficace per smantellare i movimenti di resistenza palestinesi della West Bank e di Gaza. I programmi dell’USAID si basano sul raccordo di tutti gli aiuti allo sviluppo con il ripudio delle idee di resistenza e la capitolazione nei confronti dell’occupazione.
Ramallah – Dal 1994, poco dopo la firma degli Accordi di Oslo, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha ricevuto tre miliardi di dollari sotto forma di aiuti allo sviluppo per l’acqua, servizi igienico-sanitari, infrastrutture, istruzione, sanità, sviluppo economico e democratizzazione. Questo tipo di assistenza fa parte della lotta contro la “ribellione”, strettamente connessa ai piani dell’ANP del primo ministro Salam Fayyad annunciati nell’agosto 2009 per costruire le istituzioni dello stato palestinese all’interno dei confini del 1967 e perciò promuove la soluzione a due Stati.
La lotta alla “ribellione”, in sostanza, aveva due scopi. La prima era quella di controllare la popolazione ed eliminare la resistenza palestinese. La seconda rappresentava un’alternativa ai tradizionali metodi di repressione della resistenza e dei movimenti rivoluzionari. Questa ideologia si fonda sui concetti colonialisti in tempo di guerra quando fallisce l’intervento militare allo stato puro. Per cui si rende necessario per gli eserciti utilizzare una forza flessibile per vincere la battaglia.
USAID e la costruzione dello Stato
La strategia per la costruzione di uno Stato palestinese è sostenuta da programmi economici e sociali volti a “conquistare i cuori e le menti” della popolazione sotto occupazione con programmi di sviluppo.
Il piano di Fayyad per costruire le istituzioni statali palestinesi sembra aver coinciso con il piano di sicurezza varato nella West Bank sotto la denominazione di combattere lo stato di illegalità nei territori. L’obiettivo dichiarato era quello di sradicare la droga e i rivenditori di auto rubate – accuse che erano attribuite ai membri dell’ala militare delle brigate dei Martiri di al-Aqsa di Fatah.
Inoltre, il piano di costruzione dello Stato non connette in modo organico il diritto al ritorno agli obiettivi nazionali. Anche se menziona la fine dell’occupazione, il diritto all’autodeterminazione e la creazione dello Stato, non dice nulla a proposito del diritto al ritorno. La maggior parte del piano riguarda la costruzione dello Stato e lascia poco spazio per la lotta nazionale, tranne in due frasi che parlano di resistenza popolare pacifica.
Nell’introduzione, il piano parla di fermezza e di sostegno arabo e internazionale come prerequisiti per ottenere l’indipendenza. Questo è dove i programmi USAID entrano in campo per cercare di garantire parte di questa fermezza tramite assistenza tecnica, programmi di prestito e progetti per riabilitare i valichi di frontiera.
Il progetto mira ad agevolare la circolazione delle merci palestinesi attraverso i posti di frontiera. Esso comporta una migliore tecnologia per la scansione delle merci e il miglioramento della capacità delle imprese palestinesi di accorciare i tempi di attraversamento del confine. Tuttavia, non tengono conto del fatto che la priorità consiste nel rimuovere gli attraversamenti e le barriere militari piuttosto che renderli più praticabili.
La resistenza è il terrorismo che mina lo Stato
Tramite associazioni dirette e indirette con l’ANP, l’USAID ha fornito una definizione di terrorismo in Palestina, limitandolo ai movimenti di resistenza. Uno dei suoi obiettivi è la lotta contro le condizioni e circostanze che alimentano il terrorismo (che sta a significare resistenza) e la comunità che lo sostiene, il tutto con l’obiettivo di creare solide basi per la costruzione del futuro Stato palestinese.
L’USAID ha messo in pratica la questione della lotta al terrorismo col chiedere ai beneficiari di firmare una dichiarazione di rinuncia al terrorismo come condizione per ricevere i sussidi. Altre organizzazioni internazionali, anche quelle europee, non hanno questa condizione essenziale.
La definizione di terrorismo, secondo l’USAID, esige che nessuno dei beneficiari del progetto sia membro di Hamas o di altre fazioni della resistenza, come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Richiede pure una dichiarazione esplicita che affermi essere la resistenza da parte dei palestinesi un atto di terrorismo e che comporti un sostegno dei valori e i principi americani.
Ad esempio, il documento di terrorismo sta a significare che se si verifica un incidente d’auto al di fuori di un progetto sanitario sostenuto dall’USAID, le vittime non possono essere curate se capita loro di essere membri di una fazione della resistenza. Vuol dire pure che un villaggio della West Bank non può ricevere un sussidio per riparare una strada se il consiglio del villaggio è costituito da membri di Hamas. Questo è stato il caso di Betlemme, nel 2007, quando vennero sospesi i finanziamenti alla municipalità e i lavori di ripristino stradale perché c’erano dei membri di Hamas nel consiglio.
Tuttavia, le condizioni per le sovvenzioni non si fermano alla firma della dichiarazione sul terrorismo. Esse comprendono un controllo di sicurezza completo per i membri del consiglio di amministrazione dell’istituto e dello staff del progetto da parte del Partner Vetting System (PVS). I nomi vengono indagati da unità dei servizi di intelligence dell’occupazione e da forze di sicurezza dell’ANP a Ramallah. Se uno dei nomi succede che abbia una storia di lotta o un orientamento politico nei confronti di una fazione della resistenza, il progetto verrà negato.
Programmi per prosciugare le fonti della resistenza
Un veloce e semplice riesame dei programmi connessi alla democrazia, al governo locale, ai mezzi di informazione, al principio di legalità e alla gestione del conflitto rivelerà il livello dell’interesse che l’Agenzia degli Stati Uniti ha nei confronti della costruzione di una società palestinese che cerca la pace con il nemico israeliano sulla base della soluzione a due Stati.
Sulla questione del governo locale, il sito web dell’agenzia afferma che la West Bank e la Striscia di Gaza hanno bisogno di una partecipazione civile in quanto rappresenta una necessità per uno stato democratico con un buon governo. Gli sforzi mirano a espandere e aumentare la portata del sostegno per la soluzione dei due Stati e costruire lo slancio verso la pace.
Ciò è coerente con i piani di costruzione dello Stato di Fayyad, che parlano di una soluzione a due Stati, della fine dell’occupazione, della libertà e del diritto all’autodeterminazione, senza menzionare il diritto al ritorno.
Le prospettive di USAID per i media, considerati uno strumento importante per sostenere la resistenza e istillare il concetto di liberazione, sono fondate sull’idea che il settore dei media palestinesi deve affrontare degli ostacoli, compresi gli effetti indesiderati del clima politico instabile. Questo è un riferimento al conflitto tra Fatah e Hamas e agli impatti, posizioni e sfide ad esso connesse.
Tuttavia, nonostante queste sfide, secondo l’USAID, i media palestinesi sono stati in grado di dimostrare la loro capacità di adattarsi e di creare un terreno fertile per media indipendenti e pluralistici, che non considerano Israele come un Nemico, ma un partner per la pace.
La terza pietra angolare per eliminare le fonti della resistenza e mettere in grado la comunità al riguardo sta nei progetti di gestione del conflitto e di riconciliazione nella West Bank e a Gaza, che mirano a riunire tutti i gruppi che rappresentano la comunità locale intorno a un tavolo per affrontare le cause nascoste dietro al conflitto israelo-palestinese.
I programmi dell’USAID sulla mediazione e gestione dei conflitti comprendono la preparazione di avvocati, esperti in psicologia, urbanisti, istruzione generale, dialogo, creazione di una rete di contatti personali, opportunità tra israeliani e palestinesi, programmi ambientali congiunti israelo-palestinesi e creazione di serie televisive israelo-palestinesi.
West Bank come Zona Verde
Secondo l’ex direttore della CIA , David Petraeus, la Zona Verde è l’area che non può produrre o contenere movimenti di resistenza. Essa gode di pace e sicurezza e può esportarla ai suoi vicini.
Nel caso palestinese, il piano di costruzione dello Stato di Fayyad e i programmi dell’USAID hanno agito senza sosta per promuovere l’idea di “società civile”, che supera i confini con il nome di “società civile globale”. Si tratta di uno strumento tra i più sinistri del finanziamento estero per l’attuazione di programmi per smantellare una società che è la principale incubatrice dei movimenti di resistenza.
Queste associazioni cercano di plasmare le menti dei giovani attraverso la promozione della democrazia e della società civile come il modo migliore per sviluppare una comunità politica palestinese. Tuttavia, trascurano il fatto che la Palestina è sotto occupazione e c’è la necessità di progettare la sua liberazione prima di pensare al governo e allo sviluppo della comunità politica.
Secondo la concezione più diffusa, le ONG si basano su un senso di identità comune, che supera sentimenti nazionali con il collegare le persone attraverso reti globali. Più la causa di una ONG si impegna in una solidarietà transfrontaliera, cioè più supera i confini nazionali, più diventa facile l’accesso al finanziamento.
Evidentemente, ciò che si intende qui non è l’internazionalismo nella veste dell’imperialismo e del sionismo, per esempio. Tale solidarietà non può verificarsi quando si nega l’indipendenza e l’unità nazionale, ma quando le si rafforzano. Questo sta a significare che la “società civile globale” è uno schema per distruggere in definitiva l’appartenenza nazionale.
(tradotto da mariano mingarelli)