Haaretz.com
19.08.2013
http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/.premium-1.542143
I palestinesi saranno i futuri protettori degli ebrei.
Un attivista di Fatah dice che il rilascio dei prigionieri ripristina la fiducia palestinese nella pace, ma non vede la buona volontà da parte degli israeliani.
di Amira Hass
Nella commozione del ricevimento pieno di gioia per i prigionieri Hosni e Mohammed Sawalha nel diwan, o sala di riunione della famiglia, nel villaggio di Azmut, qualcuno ha detto “Solo un momento. Vado al bagno,” con la parola ebraica “sherutim” per “bagno” (la traduzione letterale è “servizi”). Un funzionario del Ministero degli Affari dei Prigionieri di Ramallah ha sorriso. Chi si era espresso in quel modo “non voleva che tutte le persone intorno sapessero dove stava andando,”mi ha detto il funzionario, “ma ha dimenticato che qui tutti capiscono l’ebraico”.
Anche se là non tutti comprendevano l’ebraico, era chiaro che quelli di 40 anni di età e oltre lo capivano. Alcuni avevano lavorato in Israele fin da giovani (fino a che la politica di chiusura ha ridotto il numero dei lavoratori). Altri erano stati incarcerati nelle prigioni israeliane per la loro attività contro l’occupazione e vi avevano imparato l’ebraico. Altri avevano fatto entrambe le cose. E’ verosimile che quanto più scorrevole è il loro ebraico, tanto più tempo hanno trascorso in prigione o lavorando in Israele.
Samer Samarwa , di 51 anni, è il direttore della filiale a Nablus del Ministero per gli Affari dei Prigionieri. Lui e altri 15 funzionari che vi lavorano hanno espiato condanne di diversa lunghezza nelle carceri israeliane. L’ufficio è nel quartiere dei Samaritani. Non quello nuovo, sulla cima del Monte Garizim, dove si sono trasferiti i residenti durante la prima Intifada, ma in quello originale, sulla strada che dalla Città Vecchia sale lentamente al vecchio campus della An-Najah National University. Chi non avesse visto il campus negli ultimi 20 anni non sarebbe in grado di riconoscerlo; è stato riempito da un labirinto di nuovi edifici. Mercoledì scorso, gialle bandiere di Fatah sventolavano da corde tese tra i lampioni e su diversi edifici sulla strada. Alberi di ficus ben potati davano ombra alle auto parcheggiate lungo la strada pulita. Nablus ha avuto sempre municipalità forti che tengono la città curata meticolosamente, una peculiarità che non è cambiata col tempo.
Il padrone di casa del buon Samaritano.
L’edificio che ospita la filiale di Nablus del Ministero per gli Affari dei Prigionieri ha soffitti alti e le mattonelle del pavimento sono decorate con disegni geometrici sbiaditi, benché graziosi. Come molti altri edifici nel quartiere, è in affitto da proprietari samaritani. Solo la vicina sinagoga è vuota e allucchettata. Il passaggio del tempo è contrassegnato dalla vegetazione una volta ben curata, che ora è in disordine e selvaggia.
Samarwa non parla l’ebraico; i suoi due periodi di detenzione sono stati troppo brevi. Il tempo rimasto prima di partire per visitare i prigionieri liberati di Azmut ci ha permesso di intraprendere una conversazione. Non era un intervista giornalistica, né un discorso, ma piuttosto un fluire di pensieri e idee espresse ad alta voce. Prima di tutto, c’erano i tradizionali saluti agli ospiti. Poi vengono le domande retoriche: “Guarda, siete qui, due israeliani. Vi è successo qualcosa di spiacevole? Le scorse festività duecento cinquanta mila palestinesi si sono recati al mare. E’ successo qualcosa di dannoso a Israele? I prigionieri sono stati rilasciati durante la notte e trasportati dietro vetri oscurati. Non siamo stati contenti? Qualcuno può rubarci il sorriso?” Poi arriva l’interpretazione delle domande retoriche, che spiega la logica dietro l’insistenza di Mahnoud Abbas per il rilascio dei prigionieri (in altre parole, il suo non-insistere sul blocco delle costruzioni nelle colonie, come parte della ripresa dei negoziati.)
“Dopo tutto, la terra non può essere rubata. Ogni cambiamento materiale può essere invertito. Riparato. Durante le crociate, il muro occidentale era una stalla per i cavalli. Ma ci sono due cose delle quali Israele deve preoccuparsi, per sé stesso: la liberazione dei prigionieri e la sensibilità religiosa. Il tempo trascorso in carcere non può essere ricuperato – e il rilascio dei nostri soldati avrebbe dovuto essere fatto 20 anni fa in cambio della nostra interruzione della [prima] Intifada. Abu Mazen riporta 103 prigionieri di guerra, la maggior parte dei quali condannata all’ergastolo, senza una goccia di sangue. Questo è il modo giusto! Quante persone ha ucciso Israele nella Striscia di Gaza fino a quando Hamas è riuscito a ottenere il rilascio dei prigionieri nell’affare Shalit?
“Liberare i prigionieri è il modo per ripristinare la fiducia dei cittadini nella pace. Ma è difficile trovare nel comportamento israeliano buona volontà e misure atte a costruire fiducia. Dopo il 2008, 91 soldati israeliani per errore sono entrati nei territori dell’Autorità Palestinese e i nostri servizi di sicurezza li hanno restituiti incolumi. Se in cambio Israele avesse almeno solo migliorato le condizioni del nostro popolo!
“Quando c’è fiducia, c’è una possibilità per una vita migliore insieme. (Ebrei e palestinesi) condividiamo questa terra. Allah ha stabilito che voi (ebrei) sareste nati qui. Cosa – andrò contro la parola di Allah? Sfortunatamente noi abbiamo i nostri estremisti e voi i vostri, sul versante israeliano. Entrambi hanno torto. Possiamo credere in un futuro diverso. Guarda quante persone sono state uccise in Europa nelle guerre mondiali e i paesi che erano nemici ora sono membri della stessa Unione.
“Noi, i palestinesi, siamo i protettori degli ebrei. La pace con noi garantirà la vostra esistenza qui. Oggi, gli arabi sono addormentati per ciò che riguarda la situazione del conflitto. Una volta che si sveglieranno, solo rispettando la sensibilità religiosa di miliardi di musulmani, ripristinando i nostri diritti e la convivenza con noi vi proteggerà.”
I suoi colleghi interloquiscono con i loro commenti. Diversi hanno la sensazione che sia andato troppo lontano nella valutazione di un supporto accresciuto che il rilascio dei prigionieri avrebbe apportato ad Abu Mazen. Uno riassume la situazione dicendo che l’unica soluzione consiste in un uno stato per entrambi i popoli. Samarwa concorda. In risposta all’osservazione che il suo leader di Fatah parla di una soluzione a due stati, egli dice, “Abu Mazen è libero di pensare che sia possibile”
(tradotto da mariano mingarelli)