Attesa per l'acqua nel campo profughi di Qalandia

Mondoweiss
29.07.2013
http://mondoweiss.net/2013/07/waiting-for-water-in-qalandia-refugee-camp.html

 

Attesa per l’acqua nel campo profughi di Qalandia.

La prima cosa che faccio la mattina non appena mi alzo, controllo il rubinetto dell’acqua. La stessa cosa la faccio prima di andare a dormire, ma non cade neppure una goccia. Chiudo il rubinetto e non ancora convinto ritorno nella mia stanza dove lungo la parete sono allineate le bottiglie di plastica con le scorte d’acqua. Tiro su quella più vicina per il thè del mattino e mi lavo rapidamente i denti. E così comincia la mia consueta giornata nel campo profughi di Qalandia. L’acqua, ad oggi, ci è stata tolta per più di due settimane.

di Jovita Sandaite

Mentre mi allaccio le stringhe delle scarpe, mi è venuto alla mente un pensiero, se anche le madri palestinesi ogni mattina controllano i rubinetti dell’acqua. E se l’acqua arriva di notte? Così piano che nessuno se ne accorge? Personalmente ritengo che l’acqua dovrebbe suonare sempre un campanello prima di arrivare e almeno un’ora in anticipo prima di venire a mancare in modo che tutti noi possiamo riempire i nostri secchi. Sì , Miss acqua, la prossima volta prima di arrivare e di andartene suona il campanello. Indipendentemente da dove sei: nei campi profughi, nei quartieri di Nablus o Jenin, di Hebron o Jericho, di Betlemme o…. Gaza.

                   

 

Attraverso la strada e il flusso del traffico mi sommerge. Cammino eretta nonostante le folate di vento e il traffico. E’ simile a una tempesta di sabbia che si avvicina. Il vento solleva tutto ciò che si trova sulla strada, ma non il checkpoint. Il ragazzo dei DVD si frega gli occhi che prudono. 

“DVD signora?” chiede nonostante il prurito. 

Chino la testa in giù per evitare la sabbia che arriva da tutte le direzioni. No, grazie - rispondo nonostante venga chiamata signora. 

---------------------------------------------------------- 

La prima cosa che faccio al lavoro – apro il rubinetto. No, no. Non controllo le mie e-mail, non chatto con i miei colleghi. Apro il rubinetto. E questo è, quando vengo portato in un mondo diverso dove l’acqua scorre e le mani non sono così appiccicose, dove mi sento sicura e questa sicurezza non è solo un’illusione di due giorni. Riempio un bicchiere e bevo avidamente. Ne riempio un secondo – uno per dopo (ancora ne ho conservato l’abitudine) – lavo dalla faccia la polvere, le paure e le insicurezze. Per altre sette ore sono una fiera proprietaria di questo bicchiere d’acqua e potrei desiderare molto di più. 

Quando si vive nel campo profughi di Qalandia, i giorni migliori della settimana sono i martedì [Tuesday] e i giovedì [Thursday] . No, non perché iniziano con la T, ma piuttosto perché la nostra acqua arriva (se non è stata tagliata) il martedì e il giovedì. Alla fine del lavoro, in questi giorni, riesco a stare a malapena calma sulla mia sedia dell’ufficio, la curiosità mi porta a casa dove i nostri serbatoi sul tetto potrebbero essersi riempiti di nuovo. E se lo sono, è proprio così eccitante come se fosse Natale, la sola differenza è che il Natale a Qalandia arriva due volte la settimana. Immagina, due volte la settimana! 

Mi seggo sull’autobus che da Gerusalemme porta a Qalandia tutto elettrizzata in quanto oggi è forse una giornata di pioggia e domani probabilmente pure. 

E devo ammettere che quando arrivano questi momenti, mi dimentico della lotta quotidiana dei palestinesi per l’acqua, sia che vivano nei campi profughi, nei quartieri di Hebron o nei villaggi della Valle del Giordano. L’unica cosa cui vergognosamente sto pensando è me stessa e la polvere sul mio tavolo godendo degli ultimi minuti di tale esistenza, fino alla prossima tempesta di sabbia, o il prossimo taglio dell’acqua. Più probabile il secondo del primo. 

E’ facile dimenticarsi degli altri quando la casa puzza. Quando le mani sono appiccicose e quando ciò che era bianco non lo è più, queste preoccupazioni vanno per prime anche se non dovrebbero. Ma ci si dimentica pure della loro lotta per l’acqua quando i prati sono irrigati e si fa il bagno. Come può avere un essere umano una memoria così corta? 

Il checkpoint è trafficato, così lo attraverso con impazienza a piedi. Discendo la via impolverandomi come i pomodori venduti sulla strada. Prendine alcuni, farai un piatto di insalata fresca – il tutto è già previsto. Il venditore cerca di convincermi a prenderne di più oltre a un cocomero – Gli dico a gesti che non ho tempo per una conversazione, l’acqua corre. E io pure. 

Entro in casa 

La prima cosa che faccio – controllare il rubinetto dell’acqua. 

----------------------------------------------- 

Come mia madre mi ha detto, e non solo una volta, si può desiderare qualcosa quanto si può; non accadrà se non è tenuta a farlo. Proprio come il Natale – che non arriva mai prima, anche se il mio desiderio potesse scalare le montagne. Ma la cosa peggiore è la comprensione, dolorosa ma chiara, che nulla dipende da me, neppure un poco….Rimpiango di essere stata accecata dall’euforia del martedì e di non avere riempito la mia bottiglia d’acqua al lavoro per portarne un poco a casa. 

Vado nella mia stanza dove le bottiglie se ne stanno allineate lungo la parete. Afferro quella più vicina per il thè della sera e mi lavo rapidamente i denti. 

C’è sempre un domani. Ci sarà sempre. 

------------------------------------------------. 

E la prima cosa che faccio la mattina successiva – controllare il rubinetto dell’acqua. In solidarietà con tutte le madri palestinesi che, come me, nell’intimo sanno che l’acqua oggi non arriva. 

  

Jovita Sandaite viene dalla Lituania . E’ una scrittrice che vive attualmente nel campo profughi di Qalandia per comprendere meglio la lotta quotidiana dei profughi palestinesi 

(tradotto da mariano mingarelli)